I Disco Inferno non conobbero mai il vero e proprio successo. Per lo più i loro dischi e le loro esibizioni, nell’eclettica scena inglese di inizio anni ‘90, passarono sotto un indifferente e generale silenzio eccezion fatta per rari ma entusiastici trafiletti nelle riviste musicali dell’epoca. La band era nata sul finire degli eighties nell’Essex sotto la guida del chitarrista e cantante Ian Crause: nel primo LP Open Doors, Closed Windows (1991) e nella compilation In Debt (1992) si erano manifestati come puntigliosi epigoni del sound post-punk alla Joy Division e Smiths. Brillanti, certo, ma sicuramente non originali.

Fu in quegli anni che Crause decise che i Disco Inferno potevano essere ben altro rispetto alla solita band indie locale. Si era infatuato dello shoegaze dei My Bloody Valentine, dell’elettronica trasognata degli Orb e degli eclettici campionamenti della Bomb Squad nei dischi dei Public Enemy. Procuratosi un sampler e una chitarra MIDI per controllarlo dal vivo, iniziò a sperimentare integrando nel sound della band campioni di vario tipo: spezzoni di film, frasi, registrazioni della band, suoni d’ambiente. Dopo alcuni EP i Disco Inferno concretizzarono il loro nuovo DNA, maturato e rifinito, nel loro secondo LP, ironicamente intitolato D.I. Go Pop.

Le 8 tracce del disco sono allucinate e stranianti ma allo stesso violentemente vivide, come un sogno lucido. Ne è un esempio In Sharky Waters, che trascina l’ascoltatore in un limbo tra scrosci d’acqua, linee di basso altalenanti e rabbiosi raptus al limite del noise. I campioni, com'è prevedibile, sono il punto di forza del disco. Si dispiega senza sosta un caleidoscopio di samples di varia natura, manipolati e ripetuti allo sfinimento tanto da perdere ogni loro senso intrinseco e da diventare suono puro, liquido e totale. Così il suono di campane di New Clothes for the New World viene suonato contemporaneamente ad altezze e velocità diverse al punto da diventare irriconoscibile e così un coro di bambini diventa un mantra ossessivo in Starbound. Rispetto ai sequencer meccanici e industriali di gruppi come gli Skinny Puppy o gli Young Gods (di cui Crause era ammiratore) in D.I. Go Pop i campioni spesso rendono volutamente ambiguo il confine tra ruolo melodico e ritmico, avvolgendo dal primo all’ultimo secondo i brani che per quasi l'intero disco rinunciano del tutto a batterie o drum machines.

Le influenze su cui il gruppo è cresciuto sono comunque sempre presenti, dagli echi di Peter Hook nella parte di basso di Next Year alle suggestioni dream pop nelle struggenti melodie di Footprints In Snow. La scrittura dei pezzi si concretizza però in una forma-canzone prevalentemente “pop”, come effettivamente dichiara il titolo del disco: si tratta di un pop alieno, schizoide e disorientato, travolto da una tempesta di sabbia in cui ogni punto di riferimento sfuma, lasciando al proprio posto solo un vago alone di ciò che era in precedenza. La voce di Crause, memore delle gelide cantilene degli Slint, emerge a stento dalla massa sonora; a discapito di questo fatto, i testi sono un altro punto rilevante della musica dei Disco Inferno. Ora sprezzantemente ironici, ora carichi di angoscia esistenziale, essi rendono pezzi come la ballata Even The Sea Sides Against Us dei veri e propri pugni nello stomaco nel loro spaesamento e nella loro disillusione (“A future so close, I could sell my kids for it/But I'd rather be penniless, than buy any shares for it”).

D.I. Go Pop è un capolavoro che in poco più di mezz’ora riesce a evocare paesaggi di una bellezza dolorosa e destabilizzante, senza compromessi. Si tratta di un disco post-rock nel senso più puro del termine, carico di sonorità mai sentite prima e difficilmente ripetute in seguito. A differenza di altre opere coeve trascurate al momento dell'uscita (quale Spiderland dei già citati Slint, che ormai da tempo ha giustamente acquisito lo status di classico) questo album è rimasto tristemente sconosciuto e solo negli ultimi anni sta lentamente tornando agli occhi del pubblico, tanto che gruppi come gli Animal Collective e i MGMT ne hanno riconosciuto l’influenza sulla propria musica. A dimostrazione di come, se è vero che all’epoca i Disco Inferno non fecero un gran rumore, questo piccolo gioiello non vuole saperne di non farsi sentire.

(Una curiosità: Daniel Gish, primo tastierista dei Disco Inferno, lasciò il gruppo subito dopo la formazione per suonare nei Bark Psychosis, gruppo che avrebbe altrettanto scritto una pagina importante dell’epopea post-rock, ma in un’altra direzione.)

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