A pochi mesi di distanza dall’ottimo Krush il DJ e producer Hideaki Nishi, meglio noto come DJ Krush, dà alle stampe il suo secondo lavoro, Strictly Turntablized, pubblicato nel novembre del 1994 per la gloriosa Mo’ Wax, etichetta inglese divenuta, nel corso degli anni Novanta, un vero e proprio punto di riferimento per chi provava a diffondere un hip-hop alternativo, lontano dagli stereotipi del genere.
Ad attirare subito l’attenzione ci pensa la copertina realizzata dallo street artist Futura 2000, capace di evocare paesaggi astratti e mentali che riflettono alla perfezione il contenuto del disco. Quest’ultimo si distingue per il sostanziale cambio di marcia rispetto all’esordio: se in Krush il mix di voci femminili, jazz e 4/4 si rivelava infatti interessante ma un po’ acerbo, ora le cose cambiano e ci troviamo di fronte a undici tracce completamente strumentali, caratterizzate da un sound più minimale e riflessivo.
L’iniziale “Intro” mette subito le cose in chiaro: batterie ruvide e “sporche” sorreggono loop ipnotici, elementi che ritroviamo nella successiva “Lunation”, dove un pianoforte si sovrappone agli echi e ai puntuali scratch di Krush. I rullanti riverberati e le voci distanti di “Fucked-Up Pendulum” contribuiscono a creare uno scenario soprannaturale, da seduta spiritica, mentre “Kemuri” e “Silent Ungah (Too Much Pain)” sono due tracce evocative e misteriose (la seconda ci proietta direttamente in una sessione di meditazione zen).
Un brano come “Dig This Vibe” costituisce uno dei pochi momenti distesi di Strictly Turntablized, grazie a un vibrafono che culla dolcemente i nostri sensi sovraesposti. La tregua dura poco e presto veniamo colpiti da “Yeah”, con il suo campionario di drum pesanti, fiati e sample vocali, e dall’incantesimo di “The Loop” e “To the Infinity”, due composizioni che oltre a ridurre le sonorità all’osso esaltano i concetti di ripetizione e ciclicità, quasi volessero sospendere ogni concezione lineare del tempo.
La conclusione è quanto mai straniante ed è affidata a “The Nightmare of Ungah (Sandro in Effect)”, sorta di ripresa della precedente “Silent Ungah (Too Much Pain)” con aggiunta di grida, scratch vocali e altri elementi piuttosto disturbanti.
Al termine dell’ascolto potremmo sentirci disorientati, come se ci fossimo risvegliati da un lungo torpore. E da più di un fronte potrebbero arrivare delle critiche. Per alcuni, ad esempio, Meiso, Milight o Kakusei sono i veri capolavori del musicista giapponese; per altri, invece, il turntablism e la manipolazione dei vinili non svolgono quel ruolo fondamentale promesso dal titolo. Obiezioni legittime. Nonostante ciò Strictly Turntablized resta un album solido e senza fronzoli, che pur non rinunciando alla sperimentazione e alla voglia di andare oltre si distingue per quella concretezza e quell’approccio stradaiolo tipici del migliore hip-hop.
E di questo gliene rendiamo sicuramente grazie.
Voto del DeRecensore: 4,5
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