Agli ascoltatori che non bazzicano il mondo della black music il nome Rawkus Records dirà poco o nulla; a tutti gli altri, invece, l’etichetta newyorksese ricorderà la cosiddetta golden age dell’underground hip-hop, un periodo compreso tra la fine degli anni Novanta e i primissimi Duemila segnato da un notevole fermento sotterraneo, da molti interpretato come una reazione alla crescente commercializzazione del genere.

In questo contesto, la label statunitense ha rappresentato l’equivalente di un faro in una notte tempestosa, un punto fermo per chi cercava sonorità vere, genuine, lontane anni luce da certe pacchianate che, all’epoca, passavano per MTV e per i principali canali di diffusione.

Tra i personaggi più interessanti di quegli anni gloriosi (aggettivo che a molti potrà sembrare esagerato, ma non a chi ha vissuto più o meno direttamente i tempi) c’è Vincent E. Williams, meglio conosciuto come DJ Spinna.

Componente dei Jigmastas insieme al socio Kriminul, Spinna arriva all’esordio dopo aver prodotto alcuni brani notevoli e soprattutto dopo aver pubblicato alcuni 12” e compilation con il suo compare (tra questi spiccano il memorabile singolo “Beyond Real” e la raccolta Grass Roots “Lyrical Fluctuation”).

Il disco, intitolato Heavy Beats, Volume 1 (nei progetti ci sarebbero dovuti essere altri volumi, ahimè mai registrati), viene dato alle stampe nel 1999 proprio dalla Rawkus Records. Più che un album vero e proprio, è in realtà un EP contenente otto tracce e lungo circa trenta minuti. Questo particolare in un primo momento farà storcere il naso ai più esigenti, i quali però si ricrederanno dopo aver ascoltato il materiale che lo costituisce, esiguo sì, ma dalla qualità piuttosto elevata.

Nella scaletta di Heavy Beats, Volume 1 sono ripartiti brani rappati egregiamente e altri strumentali, alternati in maniera equilibrata. In tutti emerge il talento di Vincent E. Williams, un beatmaker che non esita a ricercare loop insoliti e bizzarri campioni vocali e ad arrangiarli poi su batterie sporche, potenti, nel più puro stile underground americano.

Nei pezzi “in compagnia” Spinna arruola un manipolo di MC accomunati da capacità, stile e dall’essere quasi tutti passati dalle parti della Rawkus Records.

In Who U Be” troviamo i Missin’ Linx, trio proveniente dalla Grande Mela che presta le proprie rime a una base essenziale e un po’ notturna, caratterizzata da un loop ipnotico punteggiato da rapidi innesti elettronici. Davvero bella.

Time Zone” è la traccia più “conscious” del lotto, un caleidoscopio sonoro impreziosito dalle parole di Apani B Fly e Talib Kweli, autore di una strofa mostruosa dal punto di vista della tecnica e del contenuto (Not the losers, but the winners tell the story/Ignore the truth, take out the gory details and get the glory” oppure: “We right in the new age with new slaves, we need to bless the stage/Cause the audience' brains affected by devils like cage”).

Le atmosfere orrorifiche la fanno invece da padrone nella delirante “Watch Dees”, dove a scambiarsi il microfono ci sono il folle Thirstin’ Howl III e un giovane Eminem, pronto a regalarci alcune perle di psicopatia mista a cattivo gusto (“Who's arm is this?/I must have cut it off of the pharmacist/Who refused to renew my seventh presciption of darvecet”). Non è da meno la produzione di Spinna, piena di grida, scratch e archi perfetti per la colonna sonora di un b-movie degli anni Settanta.

Il resto della tracklist è occupato da alcune composizioni strumentali, espressione del lato più coraggioso del DJ nordamericano. Mi riferisco alla suggestiva “A Grooveamungus”, al breakbeat irresistibile di “Rock” e ai sample spezzettati della minimale “The Haunted Space Freak”. Ognuno di questi brani rivela un gusto personale e una grande ricerca musicale, autentici marchi di fabbrica del cacciatore di groove di Brooklyn.

Mancano all’appello la sostenuta rappata di Joc Max nell’introduzione, la conclusione e alcuni frammenti sonori disseminati qua e là. Questi ultimi, se sviluppati, avrebbero a mio avviso arricchito un lavoro già ottimo di suo.

Gli aspetti che ho provato a riassumere rendono Heavy Beats, Volume 1 un lavoro sicuramente appetibile, anche se non indispensabile. Gli amanti del rap apprezzeranno i featuring ben selezionati, mentre i musicofili poco avvezzi saranno attratti dalle tracce strumentali, lontane dal classico hip-hop e desiderose di avventurarsi in territori poco conosciuti.

Insomma, se cercate un capolavoro è meglio rivolgersi altrove, se invece volete trascorrere mezz’ora in compagnia di un po’ di buona musica troverete pane per i vostri denti.

A voi la scelta.

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