Sarò sincero: mi sono avvicinato al mondo fantastico e stranissimo dell'avant-gard/post black metal solo di recente, passando per la via principale, La Masquerade Infernale dei capostipiti del genere, gli Arcturus. Le trame sonore complesse, contorte e spesso completamente fuori di testa mi hanno catturato immediatamente. E dopo aver conosciuto i succitati Arcturus, non ho potuto che cercare soddisfazione alla mia sete di conoscenza in ambito avant-garde. Così, un giorno, mi é capitato di trovare un album dal titolo latino di un gruppo proveniente dalla Norvegia (terra assai prolifica per ciò che riguarda il black e tutti i suoi derivati): A Umbra Omega dei Dødheimsgard.

Cosa dire di quest'album? Pardon, questo non è un album; questo è un viaggio senza meta, un'esplorazione musicale alla ricerca dell'anti-musica. I Dødheimsgard destrutturano la tradizionale forma canzone, più ancora di quanto hanno fatto i padrini dell'avant-garde, gli Arcturus. A Umbra Omega contiene solo sei canzoni, tutte, ad eccezione dell'incipitaria "The Love Divine" (che tutto è men che una dimostrazione di amor divino), di durata superiore ai 10 minuti: la più breve delle altre cinque è "The Unlocking" (11 minuti e 21) mentre la più lunga è "Aphelion Void" (15 minuti e 13).

In ciascuna di queste monumentali canzoni, o, per meglio dire, "non-canzoni", coesistono diversi generi musicali, dal black puro al jazz all'ambient, connessi soltanto dalla voce gridata (non un vero e proprio scream) e angosciante di Aldrahn e dalle lyrics di difficile decifrazione. Ma forse è proprio questo il bello, ciò che rende A Umbra Omega un caso pressochè unico nella storia della musica: non vuole essere decifrato. È un viaggio da affrontare a occhi chiusi, lasciandosi prendere dalle armonie totalmente disarmoniche (passatemi l'ossimoro) che tessono le trame di tutte e sei le canzoni. Ascoltare quest'album è come salire le scale al buio, senza sapere mai quando si arriva all'ultimo gradino: in entrambi i casi, si ha una sensazione estremamente sgradevole, angosciante. Ma quest'ultima fatica dei Dødheimsgard è grande anche per questo: l'ascoltatore sente di avere bisogno di quella sensazione sgradevole e dolorosa. Come sosteneva Schopenhauer, il dolore ci fa accorgere della nostra fisicità, del nostro essere fenomeno. E questo è l'effetto che ha A Umbra Omega: ci pone di fronte a noi stessi, ci fa rendere conto che siamo vivi e che vogliamo vivere, appalesa la nostra Ville Zum Leben (per dirla con le parole del filosofo tedesco). Forse, tutti questi pensieri sono completamente infondati e insensati... come qualsiasi opinione che si può dare di un'opera d'arte così astrusa e fuori da ogni schema. In questo senso, secondo il mio parere, A Umbra Omega è molto vicino al primo lungometraggio di David Lynch, Eraserhead: la stessa sensazione di disagio e angoscia, la stessa essenza criptica, la stessa apertura a qualsiasi pensiero e interpretazione. In effetti, vedrei molto bene Eraserhead con A Umbra Omega come colonna sonora...

Carico i commenti...  con calma