Brisby e il segreto di NIMH (1982), D. Bluth
Un mestiere fascinoso e terribile, quello del recensore ad oltranza (un oltranzista per gene e per elezione, diremmo), oltre tutto senza compenso alcuno: un poco come il mestiere di vivere, dal giogo dolce e soave, a tratti gravoso. Il critico ortodosso, rettamente orientato da un'etica del dovere e della consegna, sente istintualmente, quasi come imperativo etico, la necessità di sgombrare il campo dai grossolani equivoci critico-ideologici che hanno appestato la scena e l’aere metamusicale, metacinematico e metalibresco degli ultimi, tragicomici decenni. Il nostro lavoro, quindi, va inteso come compensazione di tutte le ingiustizie pertinacemente perpetrate ai danni di autentici maestri, e al contempo quale anatemizzazione di sordidi clown e mediocri orecchianti fatti passare per imprescindibili avanguardisti e/o innovatori: quando invece erano solo fastidiosi stracciaculi. Qualche nome lo abbiamo già fatto, così, serenamente, per quel che concerne l’ambito musicale, storicamente dominato dalla sordida soldataglia gnostica che risponde alle sinistre salottiere (a parte il “neofolk” e qualche illuminato settore dello “shoegaze” e del metal): altri li sveleremo presto al prezioso uditorio che abbiamo, seppur virtualmente, di fronte.
Di ritorno da un sublime, fantasmatico concerto degli “Europe” (all’”Atlantico”, lo scorso novembre: era una serata madida di umori interstellari), uno dei più grandi ensemble di musica bianca che la storia di Occidente ricordi, ci soffermammo sulla urgenza di comporre questa breve noterella, che può fungere e da dichiarazione di intenti e da sofferta declamazione ai quattro venti, che presumibilmente rimarrà per lo più inascoltata (se non, Dio non voglia!, oltraggiata): siamo di fronte al caso da manuale della “vox clamantis in deserto”.
“Brisby e il segreto di NIMH” (originale “The Secret of NIMH”) è una animazione statunitense del 1982 di derivazione libresca, per la prima regia di D. Bluth (che, con gesto da samurai di Occidente, aveva lasciato la Walt Disney ed i suoi mefitici addentellati nel 1979) e le musiche del geniale eschimese J. Goldsmith. Un autentico “cartone oscuro” per adulti, di taglio mitico-avventuroso: vorremmo che l’avido lettore si soffermasse un poco su questa microcategoria – o sottogenere, se si vuole –, per introdurla accortamente nella sua propria tassonomia semantica. L’oscurità e la destinazione sottilmente adulta, sotto le apparenze di una lucidatura tutta di superficie, induce a più d’una comparazione con l’AOR (deriva etica ed estetica del “prog”, già recentemente e spudoratamente sbertucciato in altri contigui lidi): analogia che poniamo, porgendola alle argute, intemerate ermeneutiche del lettore, senza svilupparne però i ragguardevoli cascami.
Brisby è una graziosa topolina, rimasta vedova, che si oppone ad un padrone infernale, che vorrebbe arare il terreno dove la piccola creatura vive con la numerosa prole; l’opzione del trasferimento in altro loco è all’inizio impraticabile, visto che uno dei suoi figlioletti è sofferente. Ciò strugge le corde più riposte dell'animo dell'ignaro spettatore, che mai si attenderebbe una tale audacia nel tratteggiare i vertiginosi moti del cuore della madre del piccolo. Brisby riuscirà, alla fine, a traslocare con l’aiuto di un manipolo di topolini usati come cavie da laboratorio nel N.I.M.H. (“National Institute of Mental Health”): ça va sans dire.
Trama avvincente -- che si fonda sull’ordito di un sano manicheismo a stelle e strisce --, ricca di simbolismi arcani e complessi e di un manipolo di personaggi da antologia, che rimarranno in sempiterno tra le pieghe del nostro cuore di europei inconcussi: tra cui spiccano, su tutti, lo spigoloso ma sapiente Signor Agenore, vecchio amico del marito che aiuterà non poco Brisby, ed il corvo svitato Geremia.
Un superbo, misconosciuto classico dei primissimi anni ’80: un cartone di spavento e di commozione, che ci sostenne nel superare il ponte tibetano, appena dopo aver danzato con le spade: la guardiania di quella misteriosa soglia denominata infanzia.
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