Gli amanti dello stoner rock sicuramente li hanno imparati ad apprezzare. Altri non li vedono di buon occhio, forse per la vicinanza sonora ai Kyuss di Josh Homme. Eppure nella fredda ed appartata Svezia i Dozer hanno prosperato e messo delle radici tanto profonde da non poter neanche immaginare il "desert rock" in una delle nazioni più fredde del pianeta. Hanno saputo far propria la proposta musicale dei grandi gruppi del genere per poter rielaborare in chiave "moderna" un modo di fare musica che per stile e suoni richiama alla mente il grezzume anni '70/'80. E così, dopo due lavori intitolati "In the tail of a comet" e "Madre de dios", che appaiono ancora oggi come oggetti quasi introvabili della band, il terzo album intitolato "Call it conspiracy" ha permesso ai quattro membri di farsi apprezzare anche in altri paesi, principalmente europei.
Consapevoli di portare un bagaglio musicale difficilmente comprensibile dal pubblico svedese e forse anche "fuori moda" negli ultimi anni, la carriera dei Dozer merita rispetto già a partire da questo concetto. Che la Svezia non sia la patria del "desert rock" lo si era capito. Inoltre dopo due album accolti con freddezza dal pubblico, la vita della band di Fredrik Nordin sembrava dover finire prima del tempo. E invece i Dozer hanno dato alla luce tre platter in tre anni e con Call it conspiracy hanno fatto quel mezzo passo in avanti che li ha poi proiettati in un circuito musicale più ampio, fino a diventare una delle nuove speranze dello stoner rock. La formula è delle più semplici, con gli strumenti ben posizionati al loro posto: chitarre distorte a creare riff acidi e potenti, basso pulsante che funge da chitarra aggiuntiva e la voce di Nordin perfettamente adatta alle composizioni del gruppo. Virtuosismi e sperimentazioni di vario tipo vengono accantonate per lasciare posto alla classicità.
Che la band ci sapesse fare lo avevano già dimostrato, in particolare con il ruvido esordio "In the tail of a comet". Con "Call it conspiracy" lo confermano appieno, sebbene la presenza di alcuni brani francamente inutili non ne sottolinea l'esplosione definitiva. Se infatti "Rising" rappresenta una vera e propria hit, lo stesso non si può dire della scialba e frettolosa "The exit". Di tutt'altra pasta le possenti "A matter of time" e "Man made mountain" che preludono quella che a mio parere rappresenta il climax ascendente dell'album: sto parlando di "Way to redemption" che si differenzia anche per la scelta sonora, leggermente più complessa rispetto a quanto mostrato dalla prima parte del disco. Altro splendido esempio di stoner rock ci viene da "Black light revolution", mentre le due tracce che chiudono l'album, "Glorified" e "Lightning stalker", sono abbastanza inutili e rischiano di essere intese come riempitivi.
Ciò non basta per scalfire una statua davvero ben realizzata. Forse grossolana in alcuni tratti e poco originale in altri ma che per come è nata e come si sta conservando appare una delle realtà migliori nel suo genere. Ora bisogna soltanto sedersi di fronte ad un bel boccale, circondati dagli amici di sempre e lasciarsi trasportare dalle calde note che provengono dalla fredda Svezia.
1. "The Hills Have Eyes" (4:03)
2. "Rising" (3:37)
3. "Feelgood Formula" (5:18)
4. "The Exit" (2:10)
5. "Spirit Fury Fire" (5:06)
6. "A Matter Of Time" (3:24)
7. "Man Made Mountain" (4:51)
8. "Way To Redemption" (4:23)
9. "Crimson Highway" (3:01)
10. "Black Light Revolution" (5:28)
11. "Glorified" (3:46)
12. "Lightning Stalker" (5:47)
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