Esistono molti modi per esprimere il malessere. Ce ne sono di innumerevoli e li si può confutare secondo diversi parametri: la rabbia, l'indolenza, la frustrazione, la rassegnazione contrita. Tutti modi che congiuntamente servono a palesare il dolore e lo stato d'animo ad esso connesso.
La musica forse, tra le Arti, è la forma più esplicativa degli stati d'animo. Per struttura dinamica e per tutti quanti i molteplici suoi modi d'espressione, riesce a calare l'ascoltatore in un determinato stato d'animo, secondo le diverse attitudini di ognuno, potendo affermare a ragione, che non c'è nulla, nel "sentire" l'Arte, di più aderente ai sentimenti positivi e negativi.
Ed ecco che nei diversi generi della musica c'è ne sono di molti che "vibrano" per negatività. Rallentamenti, involuzioni sonore, refrain acuti che si ripetono in continuazione, archetipi inerti come monoliti di cemento sul cui perimetro si muovono elucubrazioni che narrano di Morte e di sofferenze affini, accompagnandosi di pesantezza ma pure di raffinatezza.
Il mio parere, riguardo a questo ultimo album dei Draconian "Turning Season Within", è questo, dunque. Ma non voglio fermarmi quì.
Ritengo che questo nuovo disco, partorito da questa band, sia una bella rivincita verso tutti quelli che in passato, ed anche con questa uscita, c'è da scommetterci, si leveranno in accuse di "poca originalità", di "noia", di "già sentito", ecc. ecc. Potrebbe darsi che alla fine il parere di tutti questi critici dell'opera dei Draconian abbia ragione d'essere, mentre io debba avere torto marcio da vendere. Ma non mi interessa. Mi limito a confutare il mio punto di vista. Con qualche osservazione.
Se nel precedente "The Burning Halo", per quanto riguardava gli episodi inediti della band, già si riusciva a scorgere una lenta ma inesorabile marcia verso lidi ancora non completamente infestati e densamente popolati del cosidetto "Dark Rock", con questo nuovo album sembra che la meta sia stata raggiunta. Intendiamoci. All'orecchio allenato a questo tipo di sonorità, nulla (o quasi) di nuovo verrà.
Sarà invece tutto quanto il retroterra che vi è contenuto ad essere apprezzato. E questo humus lo si comprende subito, dal primo ascolto: il fantasma dei Katatonia specialmente. Lo si ascolta quasi sempre e latentemente. La maggior parte dei passaggi pesanti ma fluidi delle canzoni ("Earthbound", per esempio), così come un certo qual gusto per i "riff a cascata" (Seasons Apart) sembrano essere stati assunti a trademark puntuale dal Draconian-sound.
Il risultato che se ne ha è eccezionale. Specie se viene accompagnato da un growl non troppo cupo certo, ma irato e sempre ben calibrato, e alla onnipresente voce femminile della cantante Lisa Johansson, che non avrà il taglio di una Liv Kristine, ma che ha il pregio di non essere mai pervasivo nelle composizioni, pur deducendo che le stesse canzoni siano state scritte "anche" in funzione sua.
Il resto della band non se ne sta' di certo ad osservare però: tutti gli strumenti si avvalgono di una produzione e di un missaggio strepitosi. Bene amalgamati tra di loro, ricordando in certi passi la marzialità degli Swallow the Sun, eppure distinguibili e puliti quando serve proprio che lo siano. E di passaggi in cui sembra staccarsi dalla palude di ghiaccio, buia e demoniaca, se ne contano a iosa. Si parte sempre con una nota alta della chitarra solista, che viene ripetuta infinite volte come nella migliore tradizione Doom, e si cerca di stemperare il disagio che questa può creare grazie al cantato etereo femminile, che alla fine va ad intrecciarsi con le truci parti bestiali maschili e che ci riconducono nella palude da cui per qualche minuto ci eravamo elevati.
L'esempio migliore di tutto il lotto, nella fattispecie di quello che ho appena detto, è sicuramente "When I Wake", la canzone più rabbiosa, ma pure più raffinata dell'intera scaletta, e che sono sicuro farà la gioia delle orecchie di molti appassionati sia di Gothic che di un certo qual Doom non troppo statico.
La chiave per leggere questo disco, a mio parere, è proprio questa: atmosfere ferali e lugubri. Ma non troppo. Cadute ben ponderate ed estremamente ragionate nel Doom, pur non proponendo una miscela troppo statica ed immobile. Influenze ben chiare, che poi son le solite per chi conosce i Draconian: i già nominati Katatonia, gli Swallow the Sun per rimanere in tema di novità più o meno recenti del Death/Doom, i Saturnus per quanto riguarda l'originalità e la raffinatezza degli episodi più eterei dell'opera di cui è infarcita.
Elementi, tutti, che fanno sì che "Turning Season Within" sia un grande disco. Non da cinque stelle, si capisce: "Arcane Rain Fell" era un album da cinque stelle, e che con le sole "A Scenary of Loss" e "Death, Come Near Me", meritava di essere ammesso nel novero degli album fondamentali del Doom/Gothic ma, per chi certamente non cerca i capolavori a tutti i costi, quest'opera potrebbe essere una bella sorpresa per iniziare l'anno nuovo.
Una sorpresa intrisa di piccole tragedie di rabbiosità e di mal di vivere. Buon ascolto.
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