Gli Earth di Olympia, Washington furono sicuramente tra i gruppi meno tipici della label "indie" per eccellenza, la Sub Pop Records, ma anche uno dei gruppi traino di quella esperienza nella prima metà degli anni novanta e una realtà considerata ieri come oggi un vero e proprio oggetto di culto. Di questo gruppo l'elemento centrale e costante era ed è costituito (formalmente la band si è riunita nel 2003) da Dylan Carlson, chitarrista e cantante, influenzato dai classici dell'hard rock anni settanta e gli storici Melvins oltre che da compositori minimalisti e quindi devoto a La Monte Young: musicista e chitarrista dallo stile peculiare e riconoscibile, con la sua musica ha saputo svariare abbattendo diversi confini tra il doom metal e il rock alternativo e quello che chiamavano grunge e poi fino al post-rock.

Curiosamente questo suo nuovo disco solista mi è capitato tra le mani negli stessi giorni del ritorno di un altro gruppo di culto, gli Sleep di San Jose, California, che proprio con gli Earth sono stati sicuramente tra le band più amate tra gli aficionados a un certo suono ruvido e adatto agli psiconauti più scafati e con la faccia da duro e tirati su col suono a pallettoni di doom, stoner e devastazioni Swans e liquami Bardo Pond, rifiuti tossici di marca King Buzzo. Sicuramente meno inatteso che "The Sciences" degli Sleep (Third Man Records), "Conquistador" (Sargent House) è un disco solo strumentale e il cui sound si può definire quello peculiare del chitarrista ora di base a Seattle nello Stato di Washington. A partire dalla lunga e voluminosa title-track introduttiva, il disco è segnato da tratti di chitarra spessi come pennellate e dove la mano dell'artista è pesante come un "cinghiale".


Cinque ruvide tracce di distorsioni vigorosa e espressione sonora di un'epopea tipo revival di "Vampires" di John Carpenter e infettate da quel tipico verme solitario drone che qui si genera direttamente dalla ruggine del suono farraginoso della chitarra e dove pure i momenti di quiete di "And then the Crows Descended" (un intermezzo di circa un minuto) e della conclusiva "Reaching the Gulf" appaiono comunque segnati da una improvvisa e imminente apocalisse. Che dire, niente compromessi dunque, questo qui è un disco che va bene solo per quelli lì della "vecchia scuola" (ovunque essa sia locata) e che sono abituati a saltare il fosso o meglio a spianare direttamente tutto il terreno circostante usando un bulldozer. Un disco molesto quindi, una intrusione nella vostra privacy quotidiana, una irruzione a mano armata, violenza.

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