Sempre della serie “underrated masterpieces”...
Siamo a fine sessanta e quel che abbiamo è una voce gracchiante e una chitarra che non è una chitarra. E' un “ukulele baritono”. Oppure un liuto, va a saperlo.
Non male come partenza.
E comunque prendete la ESP-Disk, ovvero la più folle e radicale casa discografica dell'epoca, quella, per capirci, di gente come Fugs, Holy Modal Rounders, Pearls Before Swine. Poi immaginate un rospo in gola. Oppure una specie di affanno.
Come l'umano troppo umano di una voce quando è davvero una voce. Qualcosa di così potente, di così fragile. Qualcosa che arriva subito.
Un gorgo, un inciampo, un agguato teso alle anime sensibili. Non si scappa, non puoi scappare...
Che dire poi di quel suono rifrangente, di quelle strane armonie che a fatica si reggono in piedi?
L' urgente lirismo degli outsider, fate conto.
L' accidentata grazia melodica che è molto, molto di più della melodia stessa.
Qualcosa di simile all'innocenza, un flusso incantatorio commentato da un corvo/usignolo. La magia ingenua e naif che Dio, o chi per lui, ha dato a pochissimi.
Poco tempo fa sul Deb qualcuno ha parlato di "cantautorato freak, oscuro e storto". Ecco, qui siamo da quelle parti. Poi, per capirci ancor meglio, prendete i compagni d'etichetta Pearls Before Swine e mixate con Daniel Johnston.
Vi si è accesa qualche lucina? Si? Allora questo disco fa per voi.
Ah, per maggiori informazioni, chiedere all'unicorno...
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