Non ho mai ascoltato più di tanto i Ritmo Tribale, probabilmente non li ho capiti o mi stavano abbastanza antipatici. Un po' come i Timoria. No, i Timoria di più.
In ogni modo, finestre non mie. Il sound dei Ritmo Tribale non coccolava più di tanto i miei pensieri ossessivo compulsivi da diciottenne, probabilmente erano una ridondanza, per quanto un paio di concerti li ho anche visti. Anch'io ho pestato vetri di Heineken mentre Edda in gonnellina cantava Oceano, ma non vedevo l'ora di andare via, perché sperare che di colpo si trasformassero tutti nei Talking Heads, era un proposito fuori dalle mie possibilità.
Ho riscoperto Edda nel 2012 con “Odio i vivi”, ho saltato l'intervista dalla Bignardi quando conduceva “L'era glaciale” sul 2. Era il 2009 e in quel periodo ero già abbastanza glaciale di mio.
E quindi non sapevo nulla della fine di Rampoldi. Quando ascoltai Odio i vivi, non sapevo dei ponti, della droga, dell'India, della comunità. Una storia affascinante ma al contempo una storia come tante. Per certi aspetti mi ha ricordato quel concorrente del Grande Fratello che, preso dall'attimo di invasamento celebre, si denudò in diretta con propositi di cagare in giardino e sopra il letto dei suoi coinquilini. Probabilmente uno dei momenti più punk della storia della televisione contemporanea. Il ragazzo poi fu cacciato via, fu ricoverato. Ricominciò la sua vita installando depuratori d'acqua, sperando che un giorno la D'Urso lo chiamasse per raccontare in tv di come la tv gli avesse rovinato la vita. Pensa te.
A lui dedicai una compilation dal titolo Killer Parade, dove, neanche a dirlo, c'è anche “Fango di Dio” tratta da “Semper Biot” di Edda.
Poi arriva “Stavolta come mi ammazzerai?”, anno 2014. E mi convinco che questo signor Rampoldi in arte Edda, faceva dei gran dischi della madonna. Io non mi esalto facilmente, men che mai con la musica italiana ma non provavo un certo entusiasmo dai tempi di Tabula Rasa Elettrificata dei CSI (forse anche il primo degli Offlaga, adesso che ci penso).
Si narra che qualcuno volesse mandare Edda a Sanremo a intonare una canzone che come ritornello aveva “E poi caga su di me, caga su di me”.
Un conto è cantarlo, un conto è minacciarlo di farlo nudo in diretta televisiva.
Per fortuna non se n'è fatto nulla. Avrei dovuto comunicare a Edda che un gieffino qualsiasi gli aveva fatto un 6-0 6-0.
Pochi giorni fa è uscito “Graziosa Utopia” e io nella caccia alla prevendita mi sono classificato abbastanza bene: 58 su 500 del vinile arancione (c'è anche quello marmorizzato e adesso, per gli indecisi, uscirà il marmorizzato arancione).
E io non è che mi definisca proprio fan di Edda, non sono fan di nessuno. Forse un po' di Theodor Adorno e di John Cage ma “Benedicimi”, as loud as possible, spaccava tutto, con questi suoni contemporanei, basso e chitarra che gridano la sua solita, impareggiabile, visceralità.
L'album è fantastico, si presenta con “Spaziale” che è una canzone da alto cantautorato di quello che non esiste più. Scomodi la scuola genovese, i grandi classici del canzoniere più nobile del cantare italiano e prosegui così, fino alla fine del disco, passando da "Signora" a "Zigulì" a "Picchiami", stupendoti di questo nuovo corso di uno dei cantautori più ispirati che abbiamo mai avuto.
Ho molto apprezzato la produzione che non lesina rabbia, rabbia-dance, aperture da scuola indipendente americana, sguaiate epiche e inniche come “Il Santo e il Capriolo”.
Sembra un disco “vecchio stile”, dieci canzoni e pochi fronzoli, una voce sempre più a fuoco, meno caricaturale e più matura, che permette di apprezzare molto di più la sua impareggiabile poetica.
Qualcuno ha scritto di svolta pop, lui risponde che vorrebbe diventare famoso come Calcutta e si porta a casa la vittoria.
Eppure, a guardare i primi feedback, con quelle poche migliaia di visualizzazioni raccolte, da una parte pensi che dio non esiste, dall'altro magari ti adoperi per far conoscere un po' questo album. Arriveresti anche a dire che il disegno di Edda splatter, realizzato da Davide Toffolo, in esclusiva per chi ordina l'album direttamente dalla WoodWorm, sia una figata degna da museo di arte moderna. Ma in realtà è solo un disegno, così come “Graziosa Utopia” è solo un disco, un disco che prenderà “6”, in quelle squallide pagine internet con i voti o che farà sospirare attempati quarantenni come il sottoscritto. Io qua ci piazzo cinque stelline e vediamo cosa succede quando avrò finito di mangiare.
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