Salve a voi! ho una lunga premessa da fare al cospetto del presente disco: non son mica parente di' Bandecchi.
Quest'artista un tempo iper-cazzuta, 10 autunni fa diventò per la prima volta madre di un bellissimo maschietto, Sebastian Rigonat (direte: ma cosa ce ne importerà ai fini del cd che coraggiosamnete recensirai, magari senza farci il track-pie-track?). Bene, ce ne deve importare perché quest'avvenimento ha messo a repentaglio non solo la qualità estrinseca della musica di Elisa Toffoli ma pure l'organizzazione compositiva e l'attendibilità della sua voce...e qui tendo a sorvolare sul suo aver preso parte da solista a suo tempo ad un Sanremo e vincerlo: Cocciante, Anna Oxa, Simone Cristicchi e, più di recente, il mio corregionale Gabbani avevano solo così ottenuto più larga visibilità, sìne, ma i loro repertori nel complesso non sono merda [e il Festival in sé per séne, tranne qualche oscena edizione avutasi in mezzo (su tutte le 2006 e 2014), era ancora guardabile].
La vox Toffolinica, d'intesa alle atmosfere del suo nuovo repertorio di cose e cosine a ricomprendere versioni anonime di quelle "che furono", da un decennio non è più riconoscibile e quel compromesso trilaterale artistico (fatto persona) fra Samantha Brown, Alanis Morrissette e Bjork di colpo se n'è andato per sempre...congratulationem Maria de F. et tortoribus: siete riusciti con del grandinante sporco denaro a congelare un'anima e a risucchiare via un'essenza.
Ciao voce, ciao essenza d'artista.
E quando così è per un pubblico maturo come il nostro, congediamo in secundis le persone al cui universo appartiene la "vittima eccelsa", specie se proveniamo dal suo stesso distretto, e ciò un pochino rattrista.
Potremmo al limite non ignorare lì lì, di proposito, l'essere umanico residuo le cui nuove parole hanno fallito, ma certamente troviamo un dannato modo per gettare il suo intero essere in una sorta di purgatorio, un luogo perduto e ritrovato per coloro che in un altra Era da ora erano tenuti saldamente in virtù. Un’azione del genere dice di più su di noi come società di quanto non potrà mai dire sull’individuo-organismo pensante...embè? 'sto disco?, starete pensando. Ora ci arrivo, 'ulalloro, solo un paio di fottuti sudati capoversetti.

Anche il declino delle belle radio generaliste di una volta, per tacere di quello della stampa di critica artistico-musicale, assai prima dell'avvento di zecchette sciolte come Ariete/Gianmaria e prodotti tanto fumo e poco arrosto stile Kolors o Måneskin ci ha segnati come Nazione: i nostri discendenti, nella quasi totalità delle casistiche, andranno a sviluppare un'immaginazione tanto ricca di integrità col grezzo Reale quanto scevra di resistenza neuroscientifica e di elasticità temporale.

Un'Elasticità carente in Elisa già nella traccia introduttiva di On, Bad Habit: la goriziana fa palesemente il verso al lato più commerciale di LP (al secolo Laura Pergolizzi), in una successione di note, di synth-pitch melodici sempre uguali, e un testo scontato che non aiuta affatto.
Idem la seconda, per quanto più tendente all'Europop e al Gospel, un episodio che dopo il primo ascolto persino nelle giornate migliori stanca al secondo bridge. Si hanno poi una serie di canzoni terzinate più ballabili dal gusto pseudo-retro', due delle quali con un "Love" dentro al nome e (orrore degli orrori) ben ribadito in esse.

Qualcosa poi andando avanti mi è sembrato materiale scartato da un ideale musical degli anni 2000 ambientato nel periodo della tarda infanzia di Elisa e mai andato in porto: volendo Ready Now, dove urla inutilmente ogni 3 secondi, così come HOFAM (titolo cui mancava a chiudere una parolina con la E a farmi prendere a ridere e smetter domenica). Ma proseguiamo, ché lo sterco non cessa qui... nel lento With The Hurt ritorna l'influsso della produzione più leggerina di LP mischiato a certo pop inconsistente di Lana del Rey o Michelle Branch. Che due discreti coglioni.
Noiosa e priva di spunti poi la traccia coi 2 salentini scafati Sangiorgi e Marrone, con retrogusto di autoparodia a 3 sul finire.
L'unica decente fin lì sarebbe stata Catch the Light, una sorta di sua b-side mai pubblicata di un qualsiasi singolo-ballad di Lotus o Heart: è un crossover à la Birdy di neofolk e tardo r&b con un testo apparentemente vuoto e/o spensierato, ma che verso la fine condanna testardamente il fenomeno-nomodipendenza che investì quei ragazzini oggi su per giù ventitreenni.

Ho pessimi gusti nell'ambito nostrano? Me ne farò una ragione, però non senza aver detto quali falle ha prodotto l'onnipresenza di un lurido bastardo chiamato Michele Canova Iorfida.
Oltre la terribile No Hero (il fantasmino di Sia? nemmeno un cencetto volante) e il duetto gigione con Savoretti (qui irrilevante), tra i punti più bassi di codesto On ho percepito esserci "Bruciare per te", roba che pare scritta da una diciassettenne che a malapena conosce il cantautorato vero italiano e il folk anglosassone o celtico (e per niente l'indie-alternative). Altro giocattolo, più tendente all' elettrofunky da supermeacato dei DNCE e dei Maroon5, è Peter Pan, con l'inserimento vigliacco di un effetto vocale computerizzato al secondo minuto che tenderà a ripresentarsi 5-6 volte e demolirà completamente le aspettative di strappare il biglietto per un finale quantomen consolatorio.

Consolatorio per chiunque s'intenda di musica "sana" nel 2024 e successivi.

Ovviamente ho sentito tutto stanotte su Spotify armato di cuffia e controcuffia*, principalmente perché le avvisaglie sui media all'epoca non mi comunicarono nulla di positivo e così agendo non ne ha, per fortuna, né risentito il mio portafoglio né gli umori degli inquilini anziani del piano di sotto. DeBeauty and DeBeast, of course! Ho voluto approfondire per non farmi assalire dall'ennesima Ubbia, e non me ne pento. Cos'altro? Attendo con piacere una recensione locale di Ritorno al Futuro-Back 2 Future del 2022, di cui conosco un paio di canzoni in italiano (né carne né pesce), un "lavoro" dove l'Elisa dice di voler riallacciarsi agli esordi...mah!

*quella da piscina di cui andare fieri

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