Il sound della sua band è divenuto sintetico. Il successo è esploso letteralmente dappertutto in giro per il mondo, ma i veri chitarristi son fatti così, non baratterebbero (quasi) mai l'oro con la propria amata sei corde, magari vecchia, magari scalcinata, magari comprata per tre soldi in una svendita...

Nel 1985 Elliot Easton, chitarrista mancino newyorchese apprezzatissimo per la grande sensibilità nel "farcire" le canzoni con i suoi sapienti tocchi, piuttosto che per gli interminabili assoli (che la sua band gli vieta) da guitar hero, tira fuori questo disco di rock tradizionale ma variegato, scritto a quattro mani col grande compositore poprock Jules Shear (nonché autore di una ventina di dischi a suo nome; qualcuno sa di chi sto parlando?) e cantato per intero dalla sua propria voce, rauca ed un po' atona, sgradita ai puristi del rock ma perfetta per uno dalla faccia da scanazzato di quartiere come lui, e pertanto ancora più personale di una voce bella si, ma bella e basta.

Comincia con "Tools Of Your Labor", praticamente in stile Nazareth col vocalist un'ottava sotto. "(Wearing Down) Like A Wheel" sembra provenire dall'album "Panorama" dei Cars, chitarre e tastiere beat per poca melodia. Poi si "tradizionalizza" per quindi divenir soffusa nei ritornelli. In "Shayla" ci si catapulta negli anni sessanta americani. I Cars hanno sempre amato quel genere di sound, ed Easton alla fine altro non è se non un preparatissimo chitarrista rockabilly e surf prestato alla new wave ed al poprock. Basti dire che è il preferito di Brian Wilson per intenderci. In questo brano, poi, sembra debbano partire da un momento all'altro dei cori targati Bay City Rollers. Ancora lezione d'arpeggio in "Help Me", che segue la strada della precedente. Melodia allo stato puro. Inutile dire quanto sia impressionante sentire questo scavezzacollo con questa voce da scavezzacollo cantare una canzone del genere, di solito interpretata da un eunuco capace di falsetti al limite dell'ultrasuono.

Gli anni sessanta californiani sono dappertutto, ed ora tocca alle Shangri-Las di "Leader Of The Pack" in questa "(She Made It) New For Me". Assolo bellissimo e ritmica ballabile. Tutto bello, tutto tutto! Si passa al funky chitarristico, genere cui il derecensore ha una certa predilezione, in "I Want You". Il risultato, sottratte però quintalate di tastiere, è un white funky di quelli che potrebbero ascriversi ai Duran Duran (quel "I - want - you" basso e lento sotto al ritornello somiglia all'"All - she - wants - is" del celebre singolone dell'88), ma il confronto tra i due singers è nettamente vinto da Simonetta La Bonazza. "The Hard Way" è un blues-rock in stile Muddy Waters nelle strofe con chitarre slide e tamburi country nel ritornello e nello special. A circa 2 minuti e 45 c'è un arpeggio ad accompagnamento del ritornello che sembra trapiantato chirurgicamente, per similitudine di note e sonorità, dal corpo di "Lucy In The Sky With Diamonds".

Con "Fight My Way To Love" i vocalizzi dei Rubettes si sposano con la new wave di Ric Ocasek, quelle sue tastiere giocose ed il suo crescendo pre-ritornello. I Nazareth di "Black Betty" si riaffacciano in "Change". Nel suono delle strofe gli amanti dei Guns n' Roses ci troveranno qualcosa di simile alla parte finale (rallentata, ovviamente) della nefasta "Coma"!!! La finale "Wide Awake" poi, è una ballad dolce al punto tale che sembra scritta da Alan Parsons, quindi figuratevi se non vi consiglio questo disco romantico, classico, da spiaggia...

Nulla di innovativo, ma tutto è scritto così bene (per il 50% dal grande Jules Shear, ma soprattutto per il restante 50% da uno che nei Cars non aveva composta una singola nota in vita sua) che non vi sarà modo di concedersi alla nevrastenica pratica dello skip.

Avrebbe dovuto prendere qualche lezioncina di canto, certo, ma per qualità dei brani e di "tocco" questo duro coi capelli a caschetto può solo darle, le lezioni.

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