Non ricordo esattamente come ho fatto la conoscenza di Emily Haines, pianista e songwriter classe 1974; quello che so per certo è che fu cosa del tutto casuale.
Probabilmente stavo cercando qualcosa di assimilabile a Tori Amos, Fiona Apple o Lisa Germano su siti genere Lastfm, quando improvvisamente mi si aprì un mondo.
A ben vedere un mondo piuttosto limitato, dato l’esiguo numero di cd concepiti da solista, ma nel quale sono immersa da anni e dal quale non riesco, né voglio, riemergere.
Per parlarvi di lei, posso dirvi che è canadese d’adozione, che cresce respirando arte grazie al padre poeta, Paul, e che inizia presto a dedicarsi alla musica prima ascoltandola e poi scrivendola.
Forma un gruppo (di cui è Leader) che lei stessa indica tuttora come la sua priorità musicale, i Metric, band di indie-funky-rock-elettronico con cui incide cinque album (l’ultimo è del 2012), parallelamente collabora con i Broken Social Scene ma soprattutto pubblica da solista - ma con il soprannome di “Emily & The Soft Skeleton”- due CD ed un EP di ballate in cui spiccano decisamente le sue doti vocali da soprano e la sua attitudine al pianoforte. Il primo cd, autoprodotto in numero di copie limitato (2.000) è pressoché introvabile, mentre quello di cui scrivo ora e di cui mi sto nutrendo da anni, Knives Don't Have Your Back (2006) è facilmente ordinabile online, per chi come me sentisse l’esigenza di averlo in originale.
Come posso riassumervi questa splendida opera?
E’ da molto tempo che penso di riproporla a Debaser in quanto la presenza di una recensione datata 2006 con soli cinque commenti (mio compreso) è cosa scandalosa per un simile cd, ma non ho mai trovato davvero le parole giuste e forse neanche ora le avrò.
E' che in questo nostro controverso salotto virtuale non si può non parlare nuovamente di un cd di simile delicatezza, classe e bellezza, nonché di tale intensità, capace di suscitare profonde emozioni e reale rapimento.
Non c’è una cosa che vada storta nell’arrangiamento, non una virgola nel pentagramma, non una sbavatura nella voce dell’intensa Emily, voce all’apparenza esile, ma capace di scavare cunicoli nello stomaco di chi ascolta.
Con ombrosa malinconia e gioiosa sorpresa.
Tutto diviene rarefatto, non esiste più lo scorrere del tempo così come lo hanno concepito e costruito i nostri antenati, non c’è luogo e materia che rimanga come la conosciamo, si sale di livello, si viene avvolti da un bozzolo caldo dove le parole, i suoni e le immagini evocate ci tolgono completamente dalla realtà, per intraprendere un viaggio lisergico che parte dall’udito e pervade tutti i sensi.
Come se non bastasse, la scaletta è perfetta e ogni brano all’altezza del precedente.
Credo che potrei ascoltare il piano ipnotico (e vederne il “film” nella mia testa) di Crowd Surf Off a Cliff per ore e ore senza mai stancarmi, senza neanche rendermene conto.
“Everywhere and every way I see you with me..…
The life that you thought through is gone
Can't want out, the ending outlasting the mood
I wake up lonely”
Non sono oggettiva, lo ammetto.
Ma qua ragazzi, lasciatemelo dire, non si scherza un cazzo.
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