"Mi domandano perché scrivo così poco. Io ho risposto: Se uno scrittore è prolifico, date un’occhiata a sua moglie. È quasi sempre brutta. E che volete che faccia il poveretto? Scrive!”

Annotazioni, aforismi, battute, citazioni, idee. Centosettanta paginette scorrevolissime, ottenute mettendo insieme gli appunti di numerosi viaggi compiuti sia su suolo italico, sia spingendosi ben oltre i confini nazionali. Sempre in bilico tra l’osservazione lucida e il moto di spirito, col buon gusto di non prendersi mai troppo sul serio anche quando l’argomento trattato lo è aldilà di ogni ragionevole dubbio.

Sceneggiatore per (tra gli altri) Fellini, Monicelli e Antonioni, tra i primi a riconoscere la rivoluzione apportata al teatro da Carmelo Bene, che delle sue recensioni avrebbe fatto vanto fino alla morte, Flaiano fu soprattutto attento testimone del proprio tempo. Usando la satira più come lente d’ingrandimento che arma per ferire, il suo spiccato senso critico non poteva certo esonerarlo dal mettere in luce le contraddizioni e i limiti che riconosceva anzitutto in sé stesso. Dalle numerose riflessioni metaletterarie, emerge una forte insoddisfazione nei confronti del proprio operato.

L’insieme di questi brevi scritti, può talvolta risultare caotico. In certi punti non è facile capire se si sia al cospetto di un flusso di coscienza, della traccia, presumibilmente scherzosa, per un racconto o una sceneggiatura, delle impressioni a caldo suscitate dalla visita a qualche luogo improbabile. L’unico ordine vigente è quello cronologico: dal 1950 al 1972, anno della scomparsa dell’autore.

Il mondo del cinema e quello della carta stampata, da lui frequentati e assai ben conosciuti, sono spesso oggetto di scherno. Talvolta irriverente al limite della ferocia, non aveva alcun timore a dissacrare gli idoli più celebrati del periodo, tirandoli giù di peso dai piedistalli su cui la fortuna critica o popolare li aveva eretti e riducendoli a una barzelletta da osteria.

Un intricato rapporto di amore e odio lo legava agli usi e costumi del suo (ma pure nostro) Paese. Per sua stessa ammissione “indeciso a tutto”, passò la vita a cercare di rimanere equidistante dalle ambizioni di un popolo abbagliato dal desiderio di scalata sociale generato dal boom economico, ma pure dall’intellettualismo artificioso, ostentato e miope di tanta così detta “intellighenzia”.

Opera forse non fondamentale nel comunque cospicuo lascito di Flaiano, anche in virtù della sua frammentarietà “Diario degli errori”, ha il non trascurabile pregio di essere una lettura buona tanto per ampliare le proprie vedute, quanto per passare il tempo sulla tazza del cesso. Particolarmente attuale, oltre che rappresentativo del modo di pensare dell’autore, risulta il passaggio intitolato “Filosofia del rifiuto”. Una pagina e mezza scarse recanti l’invito a non cadere in alcuna classificazione, non mettersi addosso nessuna etichetta, tenersi alla larga da qualunque sforzo collettivo. “Rifiutarsi, ma senza specificare la ragione del tuo rifiuto, perché anche questa verrebbe distorta, annessa, utilizzata. […] Un NO deve salire dal profondo e spaventare quelli del SÌ. I quali si chiederanno che cosa non viene apprezzato nel loro ottimismo”.

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