Ho avuto la fortuna, come tanti, di entrare nel mondo della musica dalla porta principale, che non è nessun genere eletto (Progressive, Psichedelia, Punk, Kraut, quel che io sbandierei oggi), nessuna sottosezione pregiata, non è musica classica, bensì è quello che tutti bene o male ascoltano: fondamentalmente quello che passa per radio. Solo iniziando da lì, a mio modesto parere, puoi permetterti successivamente di scavare nei più disparati sottogeneri.

Mio padre con "Innuendo", ascoltato fino a conoscerlo a memoria negli innumerevoli viaggi sulla sua Mercedes marrone di seconda mano targata Varese, mi fece capire che esiste un paradiso da esplorare; la porta per quel paradiso era quella accanto a casa mia, nell'immensa collezione di audiocassette duplicate di mio cugino Davide, minuziosamente impilate in rigoroso ordine alfabetico, piccole colonne di mattoncini bianchi sulle quali sempre, e dico sempre, stava scritto a penna nera il contenuto con eventuali ghirigori che riempivano gli spazi bianchi, e sempre sul loro dorso stavano annotati i titoli dei brani. Laddove avanzava spazio c'erano brani ripetuti, perchè era impensabile per lui, e poi per me, sprecare nastro: oggi mi accorgo che è un concetto sconosciuto ma fino a poco tempo fa se dovevi copiarti un disco che durava 52 minuti avevi a disposizione solo cassette di 60, 74 o superiori (le 54 sono arrivate dopo), e mica potevi avanzare 8 minuti di fruscìo fastidioso che ti costringeva a premere "Avanti" per far sì che la cassetta si girasse e ricominciasse da capo. No, non esisteva: se avanzavano 8 minuti ecco che venivano riproposti alcuni brani, solitamente i preferiti come in un encore tutto nostro, altre volte giusto quelli che ci stavano come durata, tutti annotati con "(RIP.)" al termine del titolo.

Da mio cugino Davide ho ereditato l'horror vacui ed ho capito la bellezza del collezionismo minuzioso, per me tutt'ora risulta impensabile farmi piacere una canzone senza conoscerne titolo, autore, album di prima pubblicazione e, talvolta, storia. Da mio cugino Davide ho avuto la chiave per aprire le porte dell'universo musicale, quando in mille pomeriggi mi arrampicavo sul suo letto ricoperto da una federa biancoceleste fino a raggiungere con la mia mano dodicenne la sua mensola traballante color panna, su cui stava catalogato tutto ciò da cui è doveroso cominciare: trovavo Antonello Venditti e gli Shadows, Franco Battiato e Mia Martini, Mick Jagger in uno dei suoi dischi solisti meno conosciuti e i Guns'N'Roses, gli Abba e Frank Sinatra, Renato Zero e Gino Paoli, i Dire Straits e Jon Bon Jovi. C'era la guida galattica per la musica di un principiante. Non piaceva tutto a Davide, lui attingeva e conservava, la sua fonte preferita era il Silverado Dischi che ti dava un massimo di due album in prestito gratuito per pochi giorni prima che una qualche legge lo facesse chiudere; tornava dal Silverado e, che gli piacesse o no, registrava, catalogava, scriveva i titoli delle canzoni nei sui quaderni; gli facevano cagare i Queen ma sulla sua mensola color panna ci trovavi i loro Greatest Hits, schifava i Pooh ma son sicuro che lì c'era un loro disco doppio, due cassette rilegate minuziosamente con il nastro adesivo, abbandonate lì sotto la lettera P.

A dodici anni mi piaceva "Mistero" di Enrico Ruggeri, aveva vinto Sanremo l'anno prima, così come mi piaceva "Vaffanculo" di Masini. A dodici anni, in un pomeriggio qualsiasi, presi dalla mensola di Davide "La giostra della memoria" dopo essermi assicurato che c'era "Mistero" fra i titoli scritti a penna. C'era. La portai in casa mia, nella porta accanto, e la copiai. Ed ecco il lampo, quello che ti fa capire che le tue passioni devono seguire una direzione; avrei voluto fare il regista perchè ho visto la trilogia di Star Wars, avrei voluto fare l'archeologo perchè pensavo fossero tutti come Indiana Jones, avrei voluto disegnare fumetti perchè disgraziatamente lessi Dylan Dog, avrei voluto fare lo scrittore dopo aver digerito i libri di Crichton, avrei voluto diventare qualcuno che sa stare su un palco dopo aver ascoltato "Innuendo" e "La giostra della memoria", perchè se Freddie Mercury mi ha fatto capire quanto entusiasmo mi servirebbe per stare al mondo ed andarmene felice allora Enrico Ruggeri, nei primi anni di sviluppo del mio orecchio, mi fece il dono della nostalgia senza la quale la musica non dovrebbe esistere. Da lì iniziai a raccattare svariati ritagli di giornali, rivise in edicola, speciali registrati in televisione per capire cos'era accaduto in quel mondo di note prima del 1994, da lì capii che tutto era nato da Elvis Presley e Chuck Berry ed era morto con Kurt Cobain. Che terribile sbaglio. Conoscevo tre nomi di chitarristi: Jimi Hendrix, Brian May e Luigi Schiavone, imparari il termine "Fender" che per me all'epoca era sinonimo di chitarra elettrica, lo strumento delle meraviglie. Così in innumerevoli pomeriggi di seconda media mi sedevo al tavolo di vetro del mio salotto, in splendida solitudine domestica, a fare i compiti per il giorno dopo; di fianco a me avevo uno stereo CantaTu in cui "La giostra della memoria" girava fino all'esaurimento.

L'album in questione è una raccolta di quelle abbozzate, fatte non solo per raccattare due soldi ma per dimostrare che c'è ben altro al di là di quello che si è ascoltato finora: quattro brani inediti, svariati dal vivo, pochi riproposti fedeli alla versione in studio. "Mistero" la si conosce, basta, poi la title-track che commuove ancora oggi e "Bianca balena", sognavo già di avere un gruppo in cui ci fosse un pianista mentre sentivo "Contessa" che appartiene ancora al periodo Decibel, "Vivo da re" e "Polvere" erano un uno-due micidiale di quelli che ti fanno capire che forse la tua strada può essere quella di scrivere canzoni, e a dodici anni si può, adesso a trenta no, quindi son contento di averlo capito nel '94. I miei migliori amici di allora non apprezzavano "Il mare d'inverno", ora non so in quanti si mangerebbero le mani, ma erano "Che temperamento", "Peter Pan" e "Ti avrò" quelle che io consideravo le perle di un disco da consumare, contenevano le prime idee di rima, melodia, cose da raccontare. Alcuni aspetti ora sono superati mentre altri no, su altri ora, nel 2012, sono ancora d'accordo, specie se mi capita di pensare che questo è ancora un disco da consumare. "Prima del temporale" e "Il portiere di notte" le ho capite ed amate dopo, quando nella nebbia delle superiori cercavo quel dodicenne con tutto il suo entusiasmo, quando ho capito che stavo per iscrivermi a scuola guida e che avrei guidato anch'io una Mercedes marrone un giorno. La musica di tutti i giorni è quella da cui spesso scappo oggi, ma se non si inizia da lì si resta snob. Questo è il penultimo ruggito di Enrico prima che si tagliasse i capelli per stare alla moda di Ronaldo di fine anni Novanta, prima che lo cogliesse la sindrome dell'eterna giovinezza. Si cresce, si invecchia, Enrico. "Nessuno tocchi Caino" è l'unico episodio notevole che io ricordo dopo il successivo "Fango e stelle", ma è anche vero che me ne sono molto distaccato quindi forse parlo per ignoranza.

Di una cosa sono sicuro però, e la lascio come Post-Scriptum per seguire la tendenza di questo disco: Davide, non ho mai pensato, neanche per un secondo, che tu fossi un idiota.

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