Guy Blakeslee aka Entrance questa volta ha realizzato un disco di musica cantautoriale dalla bellezza coinvolgente e inaspettata e che ti conquista sempre di più ascolto dopo ascolto.

Classe 1981 e nato a Baltimora negli Stati Uniti d'America, Blakeslee vanta un lungo curriculum come musicista, attività cominciata come membro di progetti psych come The Convocation Of e The Entrance Band sin dal 1998.

Per dire la verità anche Entrance nasce come un progetto di ispirazione psych. Ma questo succedeva più di dieci anni fa.

Fino alla pubblicazione di 'Prayer Of Death' (Tee Pee Records) nel 2006.

Questo disco, 'Book Of Changes', è invece qualche cosa di completamente diverso.

Anticipato da un EP, 'Promises', uscito sempre su Thrill Jockey Records lo scorso anno, 'Book Of Changes' è stato registrato da Guy in compagnia del polistrumentista David Vandervelde (collaboratore storico di Father John Misty) presso gli Elliott Smith’s New Monkey Studios a Van Nuys, California ed è un disco con il quale Guy Blakeslee dimostra con grande forza e capacità compositive quanto egli creda nell'importanza delle 'canzoni'.

Perché 'Book Of Changes' è esattamente un disco di canzoni. Un disco di belle canzoni arrangiate in maniera semplice ma elegante e emotivamente coinvolgente e dove si evidenzia in particolare la sensibilità compositiva dell'autore oltre che le sue grandi qualità come performer.

In definitiva un cantautore che accosterei per sensibilità e stile invece che a roba più sputtanata come Father John Misty oppure Jonathan Wilson, Fleet Foxes a Mr 'Boogie Christ' Joseph Arthur e specie in alcune ballads come 'Always The Right Time', 'The Avenue', 'Leaving California' e la bellissima e sensibile 'Revolution Eyes'.

Particolarmente interessanti, come detto, gli arrangiamenti che volgono lo sguardo a un certo cantautorato indie folk psichedelico tipo John Grant, Foxygen oppure più stiloso e drammaticamente sensibile tipo Scott Matthew oppure Antony & The Johnsons.

Fondamentale l'uso degli archi in canzoni come 'Always The Right Time' o 'I'd Be a Fool', contraddistinte da un certo retrogusto anni ottanta quasi Cindy Lauper opprure Boy George, che tuttavia non costituisce un continuum o una costante dell'album.

Ravvisabile altresì una certa sacralità Leonard Cohen ('Summer's Child) e la tipica fascinazione sixties Lennon-McCartney in canzoni come 'Molly' ('Eleanor Rigby', 'The Long and Winding Road'...) e 'Winter Lady'.

La verità è che potrebbe sembrare facile perdersi in tutti questi riferimenti, apparentemente così diversi e lontani tra di loro, ma il fatto è che in questo caso ci troviamo veramente davanti a un cantautore tanto sensibile e bravo quanto capace di proporre non dico qualche cosa di innovativo, ma sicuramente qualche cosa di autentico e di rappresentativo nella musica pop contemporanea e che è 'originale' perché unico e solo nella sua bellezza.

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