Ritorno con piacere a parlare di un cantautore italiano, su consiglio del caro Dislocation: Eugenio Finardi, il "ribelle col codino" (che allora neanche aveva) di Milano, si lancia in un'avventura così complicata e "difficile" da analizzare in maniera completa come l'album "Diesel" nel 1977, forte di due album pubblicati, di cui uno, il secondo, "Sugo", successo di critica e pubblico. Tutto ciò aveva celato in Finardi la figura adatta a mettere in musica la rivoluzione, i desideri di una società che stava freneticamente cambiando e le proteste dei movimenti contestatori studenteschi. Certamente, parte con conoscenze musicali notevoli e tendenze politiche di certo mai nascoste ma soprattutto ha un importante contratto discografico con la Cramps di Gianni Sassi, celebre ai tempi per essere il trampolino dei più schierati avanguardisti della canzone del suolo milanese. In favore di Eugenio, la Cramps dispone i musicisti più validi e raffinati di quell'ambiente: da due innovatori della chitarra italiana prog e fusion come Paolo Tofani e Alberto Camerini, a un bassista sopraffino come Ares Tavolazzi (per restare in casa Area) o un sassofonista già allora tra i virtuosi dello strumento come Claudio Pascoli. Alle tastiere si alternano Lucio Fabbri (chiamato poi a sostituire il dimissionario Mauro Pagani al violino della Premiata Forneria Marconi) e il grandissimo Patrizio Fariselli sempre degli Area. Tutti messi a disposizione di Finardi, compositore dalle grandi capacità, un po' meno forte sulla mera tecnica strumentale e sulla parte vocale, che io personalmente non ho mai apprezzato ma che, in un album del genere, recita una parte abbastanza contenuta.
Il 45 che anticipa l'album intero prevede due brani: "Non è nel cuore", che si muove tra pop e rock da generi ideali come accompagnamento per una canzone d'amore abbastanza filosofica, e "Giai Phong", messaggio fortemente critico all'imperialismo americano che narra l'epica liberazione di Saigon, in Vietnam. Pur portando messaggi sociali e contenuti di alto livello nelle liriche, rimangono i due brani, almeno a mio parere, più "facili" del disco. Ciò non vuol dire che siano due singoletti, anzi: Giai Phong con una chitarra acustica e una batteria crea un ritmo veramente incalzante e assolutamente invitante perfetto per un testo altrettanto di livello. E merita una bella menzione anche l'intermezzo di tastiera e chitarra di Non è nel cuore.
Il motivo o leitmotiv che guida il lato A e lo collega perfettamente al lato B è il tema letterario della frenesia e di una società che sta cambiando forse troppo velocemente: prendono vita brani-progresso contro il consumismo e il materialismo dettati dalla necessità di una rapida trasformazione come "Tutto subito" e messaggi di non pretendere una crescita affrettata ai giovanissimi che tanto si rispecchiavano nella musica di Finardi al tempo come "Non diventare grande mai", mentre "Si può vivere anche a Milano" reinterpreta il tema della frenesia e della velocità delle nostre azioni incorporando l'urbanizzazione allora frequentissima e in grande sviluppo come causa principale. Di certo è fortissima anche la critica mossa all'eccessiva importanza data alla scuola come unica istituzione in grado di insegnare solo a "sapere" e non a "saper fare" ("Scuola"). Menzione a parte la merita "Zucchero", seconda e ultima canzone d'amore del disco, che tenta di rispondere alla domanda "perchè anche a letto non ci lasciamo andare e perdiamo tempo con le solite, noiosissime, menate politiche e ufficiose ?"
Paragrafo finale dedicato a due brani che sono, a mio parere, i punti più importanti da evidenziare e analizzare nel disco. La title track "Diesel" crea un legame indistruttibile tra un gradevole jazz frenetico ed elegante (del resto i musicisti che suonano nell'opera, esclusi forse Camerini e Fabbri, hanno tutti influenze di questo genere e si ritrovano in questo tipo di musica) e un testo che afferma che "il diesel è la propulsione" quasi a volergli attribuire un iniziatore di questa trasformazione che fa da modello per quasi tutte le liriche dell'album. E infine lei, "Scimmia": elettrizzante, emozionante, carico di frenesia nel ritmo, che si rifà sempre agli elementi jazz di Diesel, interpretando con violenza e in maniera esplicita che di più è difficile il tema delle iniezioni di eroina e della "droga di Stato". Veramente forse il brano più carico ed emozionante dell'opera, impeccabile, da inchino.
Insomma, che cos'è "Diesel" ? Un disco o una raffigurazione? Un album o un dipinto? Un' opera difficile, del tutto e per tutto non monotona e assolutamente non già vista. Rappresenta movimenti, cambiamenti, trasformazioni nello stile del primo Finardi, quel blues-rocker incazzato davanti al quale ci si dovrebbe inchinare per quel che ci ha saputo regalare. Di certo a me la sua voce non piace, ma la voce può dire poco davanti a composizioni musicali e letterarie così avanzate. E chissenefrega del coinvolgimento politico o delle tendenze, che pure nel disco si sentono bene, ma ripeto: chissenefrega. Ancora, per fortuna, non siamo al Finardi di "Vorrei svegliarti" o "Amami Lara". 4 per il tipo di artista e naturalmente per la parte vocale, ma per uno con gusti personali che apprezzano tale caratteristica di questo particolarissimo personaggio, potrebbe essere 5.
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