La piuma svolazzante in "Forrest Gump" o la busta di plastica in balìa delle correnti in "American Beauty" saranno anche immagini fruste e non particolarmente raffinate, ma bisogna ammettere che il sottotesto che le permea conserva sempre una certa potenza, un'efficacia intrinseca il cui rintocco si propaga immancabilmente nello spettatore di turno.

Certo, non che significhino esattamente la stessa cosa: se la piuma simboleggia la levità del Fato che con le sue stoccate di fioretto chiude sempre - in un modo o nell'altro - il cerchio delle nostre vite, la busta di plastica rimanda all'idea di una Bellezza autentica che si svincola dagli stilemi classici e che si deposita nei posti più improbabili.

Il titolo con cui Montale battezza la sua prima raccolta di liriche è identico nello spirito a questi due escamotage cinematografici ed è usato in un'accezione molto precisa. Un nome piuttosto criptico il cui significato è chiarito solo in un'allegoria della poesia finale dove il poeta si sente sballottato come un osso di seppia dal flusso e riflusso del mare per poi svanire a poco a poco.

Il nucleo e il senso di "Ossi di Seppia" risiede nei ventidue piccoli componimenti della sezione omonima della raccolta dove una coscienza inerte, pietrificata, apatica e ridotta ai minimi termini ondeggia nei piccoli moti che lo scenario marino/agreste dipinge davanti ai suoi occhi. Un uomo non soltanto allontanatosi irrimediabilmente dal convivio dei suoi simili, ma soprattutto un essere dalla sensibilità scarnificata fino all'osso la cui unica speranza è trovare rifugio nella "divina Indifferenza".

In fondali bucolici caratterizzati da un immobilismo esasperato, la cieca potenza della vita riesce comunque ad erompere da ogni piccolo anfratto, dalla spuma della risacca, dal frinire delle cicale. La natura parla, ma il poeta sente solo la nullità dell'esistenza, questo "scialo di triti fatti/vano più che crudele" che si traduce in una bonaccia esistenziale priva di ogni passione, mondata da ogni indagine ancestrale e contrapposta al misticismo di un d'Annunzio.

Montale fa largo uso di quello che T.S.Eliot chiamava il "correlativo oggettivo", ovvero "una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi pronta a trasformarsi nella formula di un'emozione particolare": l'artista, per far scaturire una suggestione ben precisa, non si abbandona a lungaggini retoriche o astrazioni concettuali, ma piuttosto si affida a immagini calibrate per colpire nel segno e raggiungere così il suo obiettivo.

Questa caratteristica, unita a un certo gusto tipicamente classico nella struttura del verso e all'uso intermittente di arcaicismi lessicali, avvicinano la poesia di Montale molto di più al titanismo allegorico di un Dante piuttosto che alla forma di alcuni suoi coevi: gli sperimentalismi di un Ungaretti o la colloquialità di un Saba viaggiano decisamente su altri binari.

Nelle nove liriche di "Mediterraneo", l'altro ciclo centrale di "Ossi di Seppia", Montale indugia in modo particolare sulla morfologia della riviera ligure sviscerata con dovizia di particolari; le composizioni si allungano e il mare diventa il solo destinatario dell'ispirazione poetica. Un mare visto come elemento primordiale, alieno, sconcertante, quasi ostile, simbolo di una Natura matrigna che si manifesta in tutta la sua sorda autorità e che riproduce un'eco del pessimismo cosmico leopardiano.

Se nella sezione "Movimenti" che apre la raccolta Montale sembra saggiare le potenzialità della sua lira accordandola di volta in volta a tematiche eterogenee spaziando in varie direzioni, è con l'ultimo ciclo di poesie, "Meriggi e Ombre", che il poeta si concentra su episodi che riguardano la sua biografia.

In queste liriche domina la nostalgia dell'infanzia, lo struggimento per la perdita dell'unica età dell'oro possibile su questa Terra e che, proprio come faceva il "nido" di Pascoli, preserva e protegge l'uomo dall'iniquità della vita, dal futuro male di vivere, dal "morso secreto", dal "vento che nel cuore soffia".

Saranno stati almeno vent'anni che non riprendevo in mano queste poesie. Ma in una fase come questa in cui mi sento terribilmente passivo, indifferente e in cui ho azzerata la voglia di comunicare beh... Ho sentito che era il momento giusto.

Non m'importa di stare così: è semplicemente una periodo come tanti, un periodo da attraversare.

Non m'importa di sentirmi come un osso di seppia perduto tra le onde o, eventualmente, stuzzicato da qualche canarino di turno.

In fondo siamo tutti nella stessa gabbia.

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