La prima cosa che mi viene in mente è la musicalità di quel nome e cognome, e l’impressione che mi fece la prima volta che lo lessi:
"Fabrizio De Andrè".
Forse lo paragonai all’”Òs o mèn éntha kathèude polýtlas dìos Odyssèus” che probabilmente studiavo in quei giorni (*).
Nome dalla musicalità della lingua greca antica.
La seconda un Natale a casa di un mio zio nell’anno in cui un po’ tutti in Italia lo avevamo scoperto.
Mia cugina, che era sempre stata la gianburrasca della famiglia, si era appassionata anche lei alle sue canzoni, ed in particolare a quella bocca di rosa “che metteva l’amore sopra ogni cosa”.
Con grande sconcerto di mia zia, che riteneva quella canzone così immorale e assolutamente non adeguata all’educazione di una ragazzina di quindici anni.
A parte queste memorie, non ricordo esattamente come arrivai, fattivamente, a comprare e ad avere fra le mani il primo vinile del concerto con la Premiata Forneria Marconi, forse mi diede una mano mia sorella, sicuramente posso dire che De Andrè lo conoscevo solo di nome e la PFM neanche di quello.
Ma comunque, un po’ come Alcinoo re dei Feaci, visitato nella sua isola da Ulisse nell’Odissea, feci sbarcare Fabrizio De Andrè nel mio piccolo mondo.
E lui cominciò a raccontarmi le sue storie, le sue avventure, i suoi viaggi, le persone che aveva incontrato.
Del pescatore che ricordava tanto il suo amico Riccardo Mannerini, dei due pastori litigiosi che aveva conosciuto in Sardegna ("Zirichiltaggia"), del soldato morto in guerra e del compagno del soldato, morto suicida ("Andrea"), delle sue notti perse nell’alcool ("Amico fragile"), del giudice rancoroso e vendicativo ("Un giudice"), di una storia d’amore inesorabilmente finita ("Giugno '73").
Di Marinella e di una prostituta industriosa e altruista ("Bocca di rosa") .
Dopo tanti anni, quasi quattordici, di navigazione era arrivato finalmente nella mia isola, e in parallelo in tante altre isole sul suolo italiano abitate da gente assolutamente comune, raccontando le sue storie.
Il tutto accompagnato dal più importante gruppo prog italiano, prima ancora che il prog diventasse una delle mie più grandi passioni a livello musicale.
Fu merito della PFM quel grande successo?
Sicuramente molto, bisogna darne atto alla band di Mussida (il suo assolo di chitarra all'interno di "Amico fragile" è una delle vette delle sue esibizioni live), Di Cioccio, Flavio Premoli, Patrick Djivas, il nuovo arrivato Lucio Fabbri, artefici di arrangiamenti ora folk e medievaleggianti, ora rock-jazz, sempre squisitamente prog.
Ma fu merito di Fabrizio De Andre di aver cambiato un po’ l’Italia con quel disco e quelle storie.
Da allora, pur entrando a breve nel decennio più edonista della storia più recente, gli anni ottanta del secolo scorso, si poté comunque parlare, fra un drink in discoteca e una risata per uno sketch del Drive in, senza risultare del tutto fuori luogo, di un’altra umanità, da guardare con occhi indulgenti, di benevolenza, e mai di bigotta condanna.
O almeno, sicuramente, ha cambiato me, ma forse ero predisposto.
Grazie, mio antico e perduto, indispensabile, cattivo maestro.
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(*) Senza gli accenti è difficile capire la bellezza e la musicalità di quel verso dell'Odissea, per cui li ho messi. Per quanto riguarda il suo significato dovrebbe essere, se non ricordo male, qualcosa come "Lo stesso divo Ulisse, che tanto sopporta, allora dormì".
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