Josh Tillman senza barba mi ricorda un po' quei veterani del Vietnam diventati barboni che vengono accolti nella casa americana perbene per il giorno del ringraziamento, ripuliti e sbarbati; pratica molto diffusa nelle commedie degli Stati Uniti.
Se non avete mai visto la classica puntata del “barbone” di Beverly Hills 90210, Genitori in Blue Jeans o che ne so, bè, fatti vostri: è un must have tanto quanto i numeri di telefono che iniziano sempre con “555” e quei “colossi del rock” che tanto vi garbano.
E in fondo, l'analisi poetico-sociologica che Father John Misty fa della sua nazione, altro non è che una pura commedia: un reality show dove ogni identità diventa stereotipo, così quanto stereotipi lo diventano luoghi, non luoghi e luoghi comuni.
L'America abulica e ancora in sovrappeso dopo un secolo di abbuffate da superpotenza mondiale. L'America del 666 via 555: dallo stereotipo “afro ma non troppo”, al tragicomico Trump che Charlie Chaplin quasi resusciterebbe giusto per fargli una parodia. Tra Baxploitation e derive grottesche, guardi l'America e ti pare di vedere un film di John Waters con Divine che governa il mondo.
Non era facile per Father John Misty riconquistare tutti, dopo “I love you honeybear”, anche perché ci si chiede quali grandi sorprese possa riservare un cantautore classico, chitarra e voce, un tradizionale folksinger da fermata del bus nella classica provincia americana ma anche figlio perbene e perbenista di quelle stelle e strisce a intermittenza e del sogno di Seattle.
Eppure eccolo qui, due anni dopo, capace di incantare, ancora una volta, con quel garbo da Harry Nilsson degli anni Dieci, un po' “Skip” Spence, un po' modello hipster Givenchy.
A latere: quanto fanno ribrezzo gli hipster borghesi di corso Como con la barba e i risvoltini? Finirà presto questa agonia?
Ciò che colpisce di “Pure Comedy”, oltre i testi e la voce (è un gran bella voce quella di Father John) è, indiscutibilmente il carisma da predicatore mancato, coadiuvato da una verticalità che non teme confronti: ad arrangiare ci sono Nico Muhly e Doveman, artisti che hanno toccato e trasformato in oro tutto il meglio della musica statunitense (e non solo) di pregevole qualità.
E in un album un po' barbone, con tanto di canzone-dedica alla paper bag, ad arrangiare gli archi ti arriva Gavin Bryars che al wino che stracanta per strada “Jesus blood never failed me yet” dedicò un album, tra i più riusciti della Obscure Records di Brian Eno (Eno c'è sempre, fatevene una ragione). Picco mai più raggiunto da Bryars che negli anni ha comunque fatto il suo (anche aggiungere la voce di Tom Waits al barbone che canta per strada).
Unione riuscita, perché lì dove Bryars ha messo le mani in questa "Pure Comedy", si è aggiunta una sintonia d'intenti che rende questo album, per certi aspetti superiore e molto più a fuoco, rispetto al precedente.
Approfitto dell'atmosfera opinionistica per aggiungere che il suono del pianoforte e alcuni stralci di auto-ironia poetica mi hanno ricordato in alcuni istanti “Ingresso libero” di Rino Gaetano: quell'album è qualcosa di sensazionale, la “Pure Comedy” degli anni Settanta. Che ci siamo persi, per colpa della discografia tritacarne all'italiana, per colpa dei “non funzioni” maldestri dei discografici con il sigaro e le mani sul culo della segretaria.
Father John Misty invece è nato in pieno “indie” e in fondo un po' ci marcia e fa bene, con quell'aria da menefotto: mi basta una chitarra, Infinte Jest e un parco dove stendere la mia coperta.
Ieri sera era su facebook a improvvisare canzoni su temi scelti dai suoi followers: senefotte, per fumare si sposta in giardino e ha una linea di profumi. “Giovane, bello, divo e poeta”: rimane da capire se è lui il barbone o quello che accoglie il barbone vergognandosi di quando in pieno Vietnam disertò la chiamata alle armi per diventare un ricco borghesotto.
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