Il Ragazzo d’Estate è un libro di poesie: rappresenta e incarna le più profonde e nascoste emozioni di un uomo, in questo caso, di un poeta. I versi delle poesie costituiscono il racconto. Non è il racconto a definire la poetica.
Partendo dal titolo, l’autore, ci suggerisce un paesaggio fresco, giovanile ed emotivo, che richiamerà a se le atmosfere della prima adolescenza che poi sfoceranno in un percorso di vita che vede un ragazzo diventare un adulto. Ed è questo che sostiene il libro e anche l’autore. Diventare un vero uomo sta nel non perdere quell’occhio da fanciullo, e rimanere sensibile sempre, anche se per maturare bisogna digrignare i denti per combattere e soffrire. Spesso la vita ci fa cambiare; ci fa diventare spenti, tristi, vuoti; ci fa perdere il bambino che occorre dentro di noi. E questo è erroneo perchè un uomo può evolvere la sua indole: un uomo può essere adulto e bambino, in senso lato, anche se la vita è dura. E sapersi godere la vita e apprezzarla per quella che davvero essa è significa mantenere quello status. Parlando in questi termini, l’autore chiama in causa e si rifà alla poetica del fanciullino, di nascosto cita il film l’attimo fuggente in un entanglement poetico d’amore visto come gesto universale per la vita e le emozioni vere. Tanto è vero che l’ultima poesia, Gioventù, è messa lì perchè simboleggia l’ardore della giovinezza, che rappresenta per l’autore il primo ganghero del libro. Anche se troveremo un altra storia all’inizio del libro, la primaria caratteristica rimane la giovinezza, non vista come il classicismo narrante squilibri, disordini e malessere, ma come qualcosa di onirico.
Gioventù
Bambini adoranti
No compiti no torte mela
No soliti amici
No pallone no sudore
Raccontare l’eccezionale
Ormai dimenticato
Esemplare salto corda
Gessetto colorato regoli
Naso out
Finestra rotta pallonata figa
Pioggia fitta
Sole di marzo prima della quaresima
Adolescenza
Di ginocchi sbucciati e amori rubati
Come salici piangenti
Scavalcare uno steccato
Primo fiore
Colore di spiaggia
Sapore di sale
Ricordo che apre finestre
Libera cassetti
Laggiù nel profondo
Posticino ci sei tu
Nascosto
Che mangi un arrosticino
Beltà quel sapore antico
Che libera la felicità
Straordinaria e affascinante la descrizione del male in questo libro di poesie, che si staglia in un circuito di negatività e accezioni che rivelano questo stato umano come una scelta cognitiva, quindi fanno del male il male stesso. Grazie all’uso di figure retoriche di significato sferzante e dal linguaggio eccezionale, prorompono piramidali di climax e chiasmi e, l’autore, ci rivela il secondo cardine del libro: la cattiveria assoluto dell’uomo, che ha creato l’uomo, che è l’uomo. L’autore decanta e identifica il male nella figura dell’Eversor.
Eversor
Tanti troppi discorsi
Stolti ricorsi metodologie no
Soluzioni idem
Bottiglie rotte nell’alba
Menti vacanti in postazioni finte
Evidenti sospetti e distrutte conquiste
Le mani dell’Eversor
Sull’uomo del ventunesimo secolo
Intelligenti persi delinquenti
Viziati amati ersi assenti
Adolescenti perversi
Maledizione maleficio maligno
Nessuna abnegazione
Poi climax
Inefficace sconveniente atroce
Appariscente ambizioso
E disintegrazione totale
Sono Uomo moderno
Del male perno
Del buono l’Eversor
Importante è comprendere che la visione poetica che cinge lo scrittore non è dispotica, quindi è interessante perchè l’autore riesce con discernimento assoluto a farci intuire le differenza fra il bene e il male. Questo lo si può comprendere se ci si pone con una lettura analitica. Voglio intendere che l’autore non condanna alcun percorso di vita che porta un giovane a sbagliare o a fare le sue scelte, anzi… è assolutamente necessario sbagliare affinché si possa nella vita migliorare sempre. Nella prima parte del libro si parla del male; nella parte centrale si parla di vita, esperienza, gioia e fede. Nel componimento Cavalieri Barocchi, Federico Di Mascio, esamina il giovane moderno e lo rende protagonista di tutto il suo mondo. Ed è questo che ci ha lasciati folgorati: l’artista con le sue poesie, rivoluziona la figura di poesia classica. Non è più tempo di essere ermetici, barocchi… di solipsismi ne abbiamo avuti troppi. E’ tempo di idee nuove, c’è la necessità di freschezza. La storia del male e del bene ci ha stufati, ma Federico è ermetico al punto giusto da farci aprire gli occhi alla realtà e di farci arrivare ad una conclusione: tutti possono fare tutto ciò che desiderano; il male esiste davvero; L’amore non è una frase su Tumblr; La fede è reale.
Cavalieri Barocchi
Città senza tempo
Veni vidi vici
Leoni del venerdì
Vinciamo allenati divoratori
Indiscussi voliamo
Ragazzi della notte
Cavalieri barocchi
Alcolizzati di bellezza
Calici e purezza
Danziamo con destrezza
La notte ci accarezza
E mentre balliamo baciami
Quando entro invocato soavemente
Taci e t’armi funesta e m’ami
E d’amore spasmi le tue armi loquaci
La sala d’ombra come nebbia color veglia
Nell’immensità arde e mi sveglia
Ormai in te sono stato
Ti ho varcata la soglia superata
Mi son fatto male
A terra giaccio ferito
Ed il dolore mi colora d’infinito
Terzo elemento del libro è la fede. Qui si toccano le vette del pensiero di questo giovane pescarese. Richiamando la filosofia cartesiana del <<Penso dunque sono>> l’autore identifica nella domanda <<Chi siamo? Da dove veniamo? Perché amiamo?>> la capacitò di sentirsi parte del creato, di tutto ciò che lo circonda. Lo si può intuire nella poesia Dei. Come un fanciullino, il poeta, scruta la volta stellata e affronta un dialogo con Dio, che lui identifica nella natura, ma non perchè è lui a farlo, ma perchè ciò che Dio ha creato è la stessa natura, gli esseri umani, l’universo. Così pone la domanda a Dio (cioè alla natura) e la risposta non c’è perchè probabilmente Dio non esiste. Ma perchè sia innato l’amore che il poeta prova nel contemplare la natura, la risposta è la risposta, ed arriva nel rivivere quegli attimi: l’uomo è un soggetto amante dal principio e, quindi, l’unica speculazione che rende reale tale dubbio, è la fede. Metafora eccezionale che rende l’uomo comunque responsabile delle sue gesta, in un certo senso, è come se Dio stesse porgendo un incarico all’uomo.
Dei
Lui in alto nel ciel
Sorride e mi parla
Sei tu il Prescelto
Protettore degli Dei
Gran tesoro di Dio
Della natura custode
Rispondere è rivivere
Ti prego dimostra che
Non sogno Lui tace
E dinanzi sopra un disco
Mi abbacina
È la Via Lattea
Bello, intenso, commovente. Questo taccuino emozionale si eleva nel panorama della poesia Italiana odierna, con un linguaggio curato e senza punteggiatura, scritto da un poeta esordiente giovane. Il libro è un concept con un suo ritmo e una sua evoluzione. Superate le barriere, quest’uomo che altri non è che lo stesso Ragazzo d’Estate, rende la sua vita meravigliosa, con stralci di filamenti onirici che ti fanno percepire la bellezza della vita. La cosa bella è che la materia in questione è la realtà. La stessa è così meravigliosa che solo un sogno potrebbe superarla. Anche il poeta Dante Quaglietta, nella prefazione, dice che <<La realtà supera l’immaginazione>>. Insomma sognare non ci è più necessario, ci basta solo adottare quell’occhio diverso da come lo abbiamo sempre avuto. Le ultime poesie, prima della già citata Gioventù, parlano dello spazio e delle sue leggi fisiche quantistiche. Con un’allegoria strabiliante, il poeta personifica le leggi fisiche che, regolano la nostra realtà e il loro mutamento, alla velocità con la quale il bene vince sul male. E lo si sa, nello studio della materia, nulla si crea e nulla si distrugge. L’evoluzione in questo caso vede protagonista la mutazione del male verso il bene. Il male è imprescindibile come il bene. La singolarità, detto questo, sta nella scelta del bene a dispetto del male.
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