Il problema con Dylan, spesso e volentieri, è un problema di faccia. Per tanti artisti metterci la faccia è un valore aggiunto, con Dylan è una scelta che può peggiorare le cose. O rovinarle in via definitiva.
Se poi lo coinvolgi in un progetto di cui non è convinto, peggio mi sento. Lui è bravo come nessuno, a fartelo pesare. Perché in quel caso ti tiene tutto il tempo quell'enigmatica e indecifrabile faccia da cazzo su cui tanto s'è detto e scritto, ma che alla fine non si capisce mai bene cosa voglia esprimere.
E forse anche questo è parte dell'eterno affascinante mistero dylaniano. Forse...
Ah. Ci sarebbero anche le dichiarazioni nientemeno che di Slash, a suo tempo coinvolto nelle sessions di 'Under The Red Sky'. Al Kooper (un altro coinvolto in quel disco, ma i coinvolti furono un plotone in cui lo special guest era Elton John) lo soprannominò 'l'album incappucciato'. Non perché il disco sia uscito nei negozi avvolto in una confezione speciale, ma perché Dylan – in probabile fase sociopatica – passò tutto il tempo di quelle travagliate sessions dentro una felpa con cappuccio, e a malapena rivolgeva la parola a chicchessia.
E appunto Slash (che immaginiamo col cilindro, tanto per non esser da meno del cappuccio di Zimmie) ebbe a dire: 'ho conosciuto 'sto tipetto che non sembrava Dylan, ma sembrava un eschimese. Era estate e lui portava un maglione col cappuccio e un berretto da baseball sotto. Aveva grossi guanti di lana e sembrava completamente fuori di sé. Fu scortese in ogni cosa, ed è stata una delle peggiori esperienze della mia vita'.
Certo, va detto che spesso a discutere la faccia di Dylan sono personaggi con una faccia più discutibile della sua. Ma passiamo oltre.
Ebbene, veniamo al punto. Dylan negli anni '80: tasto dolente, chi lo nega. Prima l'assalto a MTV, con 'Empire Burlesque' (riuscito solo in parte). Poi, la più grande crisi d'ispirazione di un'intera carriera. Lui che aveva sempre scritto a fiumi, stenta addirittura a mettere insieme dieci canzoni in croce per un dischetto di mezz'ora. E mentre stanno per iniziare le penose sessions di 'Down In The Groove', uno stllicidio trascinato avanti mesi e mesi, Zimmie si butta in un nuovo progetto.
Anche se quasi nessuno se lo ricorda (e c'è un motivo).
Succede che Dylan invita a casa sua a Malibu (la famosa casa di Dylan a Malibu) Richard Marquand, il regista de 'La cruna dell'ago' e 'Il ritorno dello jedi'.
E cosa mai avrà a che spartire con Dylan? (si dirà) Ma qualcuno l'avrà già intuito.
Succede che, al culmine di una sbornia epica, Marquand gli butta lì una proposta. 'Sono parecchi anni che non fai un film, che ne diresti se...?'. E Dylan non se lo lascia ripetere due volte. Ma ripetiamo, siamo al culmine di una sbornia epica.
L'idea è quella di fare un film sulla musica, sulla musica rock (Marquand ha già all'attivo un 'La nascita dei Beatles' passato pressoché inosservato, salvo un fugace periodo di passaggi tv in seguito all'omicidio-Lennon, e già questo dovrebbe far riflettere). La trama, originalissima e non c'è che dire, dovrebbe vertere su un torbido triangolo passionale col music-business sullo sfondo: c'è la rock-star in pensione, c'è il giovane idolo-pop rampante, c'è la bella gnocca aspirante starlet contesa fra i due.
Trama così imprevedibile, come vedete, che proprio non si riesce a intuire quale parte dovrebbe interpretare Dylan.
Marquand è convinto, ci crede davvero, vuole fare le cose in grande. Per il resto del cast punta in alto, non si accontenta di comprimari da affiancare a Dylan. Tanto che per la parte dell'idolo più giovane contatta prima Bowie e poi Sting.
E' un due di picche in entrambi i casi (che fossero entrambi sobri al momento della proposta?).
Allora ripiega su Rupert Everett, per lo stupore di chi non avrebbe mai immaginato di veder recitare Dylan al fianco di Rupert Everett. E nel ruolo della bella niente Madonna, costa troppo. Meglio puntare sulla focosa Fiona Flanagan, cantante con una carriera così densa di successi che ancora oggi è ricordata come 'la ragazza amata da Dylan nel film Hearts of Fire'. E, si aggiunga, per un'apparizione in una puntata di Miami Vice dell'86.
Ho quindi anticipato che il film si chiama 'Hearts of Fire'. Per l'appunto. Titolo che, più che al fuoco sacro del rock'n'roll e alle great balls of fire di Jerry Lee Lewis, fa pensare all'indimenticabile 'Hearts on Fire' di Rocky IV. La canzone che parte sul finale (ta-ta-ta) quando Ivan Drago è battuto e lo Stallone Italiano pronuncia il celebre 'se io posso cambiare e voi potete cambiare, tutto il mondo può cambiare!'. Mentre il figlioletto gioisce e guarda Rocky da casa. 'Anch'io ti voglio bene, papà!'.
Cuori di fuoco. Un titolo che più-anni '80 non si potrebbe.
E una storia profonda, anch'essa piena di cuore e sentimento, sui veri valori della vita. Billy Parker alias Dylan che ha lasciato la musica e alleva polli, sta con la giovanissima Molly alias Fiona che però s'è stufata di lui, sai, c'è troppa differenza d'età e si mette col piacione neo-fenomeno pop James Colt alias Rupert Everett, solo che alla fine Molly si rende conto che lo show-biz non è poi questa gran cosa e torna alla fattoria di Dylan che nel frattempo continua ad allevare polli e la ammonisce con un "vedi, che ti avevo detto? Il mondo là fuori è una schifezza baby, è pericoloso baby, ci sono i lupi là fuori baby, ti conviene restare insieme a me. Baby".
E questo è tutto. Alla fine il bene vince sempre e i lupi non fanno strage dei polli di Dylan.
Per quanto riguarda un giudizio sul film, si potrebbe dire che dei tre Dylan è di gran lunga quello che recita meglio. E quando Dylan è quello del cast che recita meglio, un po' di apprensione sopraggiunge.
Magari Marquand ci avrà pensato, rivedendolo.
E non si è detto del lato più importante della questione: la colonna sonora.
Chiaro che Marquand non ci pensa minimamente, lascia carta bianca a Dylan. Del resto: hai Dylan come protagonista del film, ti sei spremuto a concepire una trama del genere, e devi anche pensare alla colonna sonora? Sarebbe troppo.
Ma Dylan, si diceva, è nella peggior crisi d'ispirazione di un'intera carriera. Per cui non ha nulla di pronto, salvo sperare di tirar fuori una cosa estemporanea sul set – magari come 'Knockin' On Heaven's Door' ai tempi di Pat Garrett, non si sa mai.
Ovviamente non succede, e si limita a contribuire con 'Had A Dream About You' e 'Night After Night, che non sono diventate famose come 'Knockin' On Heaven's Door'. E chissà perché.
Più una cover di 'The Usual' di John Hiatt, perché non era rimasto nemmeno uno scarto di 'Knocked Out Loaded' da riciclare. E Marquand si mettesse l'anima in pace.
A Rupert Everett fanno pure cantare una 'Tainted Love' stile-Phil Collins, ma nel film ci si mette il playback brutale a rendere le cose ancora più imbarazzanti.
La presentazione è prevista per metà-settembre '87. Marquand non potrà mai ricordarla: muore per un ictus il 4 settembre, a soli 49 anni. Dylan è a Londra per la prima, ma all'ultimo ci ripensa e non si presenta.
L'effetto di quella sbornia epica era finito, e fra sé deve aver realizzato qualcosa. Chissà.
Nemmeno la morte improvvisa di Marquand risolleva 'Hearts of Fire', come quella di Lennon ai tempi del film sui Beatles: negli USA il film non esce proprio, la distribuzione è cancellata e a Dylan non resta che riguardarselo in VHS. Ammesso l'abbia mai fatto.
Di queste sessions ai londinesi Townhouse Studios sopravvive una manciata di scarti e out/alternate takes con la partecipazione dei vecchi compari Ronnie Wood e Clapton (che immaginiamo in giacca oversize come sulla copertina di August, prossimo a uscire).
Chissà che pensava, Dylan, durante la quinta take di 'Had A Dream About You'.
E chissà che faccia aveva, soprattutto.
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