Matthew E. White è una specie di fenomeno nella musica pop-folk contemporanea. Con soli due album come solista alle spalle infatti il musicista e cantautore di Richmond, Virginia, ha raggiunto non solo una buona popolarità, ma anche una certa considerazione e che oggi lo vede comparato e considerato alla pari di altri nomi molto hype come quelli di Justin Vernon, M. Ward, Damien Jurado, John Grant, probabilmente lo stesso Sufjan Stevens...
Non voglio naturalmente sottovalutarne le capacità, anche se finora nessuna delle sue produzioni mi ha particolarmente coinvolto, trattandosi di lavori in cui è fondamentale una certa 'estetica' e ricchi di pretese intellettuali sia sul piano della scrittura delle canzoni che degli arrangiamenti.
Sempre alla ricerca di apparirci come una specie di nuovo John Lennon e il nuovo messia della musica pop, in questa occasione Matthew E. White si presenta al pubblico accompagnato da Flo Morrissey, una giovanissima performer e musicista londinese e con la quale ha rilasciato il suo ultimo album, 'Gentlewoman, Ruby Man' (Glassnote).
Il disco per la verità è già uscito da qualche mese, lo scorso gennaio, ma ne ho approfondito l'ascolto solo in questi giorni.
Presentato in maniera positiva dalla critica, trattandosi di un album di cover non mi aspettavo francamente granché, ma avevo ascoltato qualcosa del primo album di Flo Morrissey e le sue qualità vocali mi erano sembrate interessanti. Ritenendo di conseguenza che queste avrebbero avuto un ruolo centrale all'interno delle dinamiche dell'album, che si suppone fosse del resto una vera e propria occasione importante per mettersi in mostra per la nostra giovanissima cantante d'oltremanica, mi sono infine spinto fino in fondo nell'ascolto del disco dall'inizio alla fine e per più di una volta.
Il giudizio finale in buona parte conferma quelle che erano le mie sensazioni iniziali.
Il disco si apre con una cover de i Little Wings, 'Look At What the Light Did Now', una canzone presentata in anteprima prima dell'uscita dell'album e arrangiata con uno stile in bilico tra la soul music, il rock anni settanta e una certa musica pop mainstream. Cantata a due voci, per quanto il brano fosse stato considerato evidentemente tra i migliori e usato in sede promozionale, non lo considero uno dei meglio riusciti e chi lo sa, forse proprio a causa della voce di Matthew E. White, che francamente trovo insopportabile.
La seconda traccia è 'Thinking 'Bout You' di Frank Ocean. Un altro episodio secondo me trascurabile e in cui la voce di Matthew E. White emula chiaramente quelal di Ocean, lasciando a Flo Morrissey lo giusto spazio nel refrain. Gli arrangiamenti minimal e dub-step, tipici del genere, lasciano intravedere un certo groove, ma il risultato nel complesso è molto poco esaltante: potrebbe essere una qualsiasi hit radiofonica di neo-black music come tante altre. La terza traccia è invece 'Looking For You' di Nino Ferrer e qui le cose cominciano a farsi effettivamente più interessanti. Qui le atmosfere sono in bilico tra una certa neo-soul music e arrangiamenti acid-jazz che esaltano le capacità vocali di Flo Morrissey in una performance avvolgente e che si intreccia sapientemente con gli arrangiamenti vintage che sono finalmente convincenti e adatti al contesto.
Bene anche la cover di 'The Colour in Anything' di James Blake che si fonda sostanzialmente sulla performance di Flo Morrissey che domina su un arrangiamento assolutamente minimale, dimostrando appieno che la vera ratio da ricercare in questo disco stia effettivamente nelle sue capacità vocali e in questa grande duttilità che dimostra a seconda delle differenti occasioni in cui viene chiamata in causa.
'Everybody Loves The Sunshine' di Roy Ayers si contraddistingue per quelli che sono arrangiamenti tipicamente seventies e quel tipico groove funk di quegli anni, ma è una canzone che funziona a metà e dove sembrerebbero quasi esserci degli spazi vuoti tra un verso e l'altro: la costrizione di cantare il pezzo a due voci probabilmente in questo caso diventa invece che un valore aggiunto, un vero e proprio limite, tanto che potremmo benissimo parlare in questa occasione di veri e propri 'complessi di castrazione'.
'Grease' di Barry Gibb d'altro canto va detto che funziona invece benissimo. Le due voci si alternano sapientemente a seconda delle occasioni su di una base freaky-psychedelica e tipiche atmosfere hypno da disco-music anni settanta. Matthew E. White riesce a convincere anche come performer in questo caso, mentre Flo è semplicemente magnetica.
Con 'Suzanne' di Leonard Cohen il duo secondo me fa un vero e proprio buco nell'acqua: sembra quasi una registrazione amatoriale improvvisata e non c'è veramente nulla che si salvi. Ma l'album si riprende poi con una gioiosa versione di 'Sunday Morning' de i Velvet Underground, resa come una ballata per pianoforte e con l'uso dei cori nel ritornello. Quindi una bella versione jazzata di 'Heaven Can Wait' di Charlotte Gainsbourg con dei toni quasi ironico e un certo humour tipico del cabaret che danno una vera rinfrescata a una canzone già di per sé molto bella.
Il disco si conclude con una cover di George Harrison, 'Govindam', in cui la band fa chiaramente il verso a certi sperimentalismi nell'incrocio tra la musica pop britannica e quella orientale che furono tipici di una band come i Cornershop. Il sound è caratterizzato da un groove convincente e percussivo, ma su tutto in questo caso come negli altri momenti migliori del disco, a essere convincente è la voce di questa giovane cantante, Flo Morrissey, che per quanto il disco nel suo complesso non si possa sicuramente definire sufficiente, ha avuto se non altro l'opportunità di essere al centro dei riflettori e esibirsi per una platea ben più ampia di quella cui potrebbe aspirare. Ora quello che deve fare secondo me è staccarsi da Matthew E. White, così come da altre figure ingombranti, e camminare sulle sue gambe e dimostrarci veramente di che pasta è fatta.
Per quanto riguarda Matthew E. White, invece, il disco non aggiunge praticamente nulla alle sue produzioni: se vi piace, molto bene, potrebbe forse piacervi anche questo disco; in caso contrario sinceramente secondo me potete pure saltarlo e aspettare direttamente il prossimo disco solista di Flo Morrissey per apprezzarne, giustamente, la bravura e la sensibilità artistica che qui è in qualche maniera compressa dalla figura ingombrante e dominante del suo partner.
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