I Fontaines D.C. sono una band Irlandese, e questo possiamo già intuirlo dal nome, dove D.C. sta proprio per Dublin City.

Artisticamente nascono nel 2019, con la pubblicazione del loro primo album, "Dogrel", io non li conoscevo in quel periodo, ma mi pare di aver letto che ebbero già un discreto successo al tempo... dò poca importanza a questa affermazione storica perché per me i Fontaines nascono nel 2022, non tanto perché li ho scoperti con l'uscita della loro terza opera, ma perché dopo aver ascoltato i primi due album, ho capito che effettivamente "Skinty Fia" può essere identificato come il loro primo album, album in cui nasce una signora band.

Per carità, "Dogrel" e "A hero's death" sono assolutamente validi, ma il sound e l'atmosfera di "Skinty Fia" sono inarrivabili e si imprimono nei timpani e nelle menti come un segno distintivo ed inconfondibile.

Il disco si apre con un basso pulsante ed un titolo incomprensibile ed impronunciabile, d'altronde sono Irlandesi e lo vogliono chiarire per bene.

Ecco questo concetto dell'"Irlandesità" (se così si può dire) non è banale... è un sentimento d'appartenenza molto forte e presente in tutte le loro canzoni. Gli Irlandesi, in generale in realtà, sono caratterizzati da questo senso di appartenenza molto forte, lo riconosceva e provava pure Joyce (ormai nostro amico sul Deb).

"In àr gCroìte go deo" significa "per sempre nei nostri cuori" e lo spunto per il pezzo l'ha fornito una storia vera:

In Inghilterra gli Irlandesi non sono ben visti, le loro radici portano la palla al piede di essere ricondotti all'ira e al terrorismo (sarà forse per la legittima lotta per l'indipendenza?!).

Il brano vuole essere una denuncia alla negazione fatta ad una famiglia di incidere le parole che denominano la traccia sulla tomba di una familiare per onorare le radici Irlandesi di quest'ultima.

Ma questi aspetti storici poco si addicono alla mia analisi, seppur in questo caso fondamentali per capire il sentimento di fondo dell'opera.

Ritorniamo al basso pulsante che apre le danze...

È un grandissimo indicatore per capire cosa aspettarsi nei brani successivi: ciò che amo dell'album infatti è questa atmosfera cupa, tetra, quasi raccolta in una minuscola stanza rossa illuminata da luci a loro volta cupe ed intermittenti, proprio come il basso.

Diciamo che si mescola abbondantemente un'eletrronica cupa ad un gothic ed alternative rock anni 90', riprendendo però anche atmosfere anni 80' (riscontrata soprattutto nel diffuso ricorso a cori).

Se nei dischi precedenti c'è un uso spropositato di strumenti, melodie e contromelodie, qui l'arrangiamento è semplicissimo, riescono con l'essenziale (Chitarra, Basso, Batteria, voce e cori) a creare un universo dentro il quale navigare... è difficile renderlo a parole, ma ogni brano segue lo stesso imprinting e la stessa idea di fondo, sono tutti all'interno della stessa stanza ma fanno ognuno leva sulla propria particolarità.

Il vero fil rouge però è la voce di Chatten...

In "Skinty Fia" abbandona la così detta Spoken Word (ovvero una sorta di cantato parlato) per avventurarsi in brani davvero cantati.

Perché fa notizia? Beh, di fatto perché non sa cantare... o meglio, la sua voce è come uno strumento monocorda, sempre sulle stesse vibrazioni. Questo può avere due risvolti:

Da una parte può annoiare alla lunga, dall'altra può diventare davvero una sorta di voce confidente, come se stessimo dialogando con un amico. In ogni traccia, sappiamo che troveremo le stesse frequenze, lo stesso timbro con la stessa estensione che dirà parole diverse, in contesti simili ma particolareggiati... è come fosse una certezza, un Virgilio che vi accompagnerà nel nostro viaggio tra inferno, purgatorio e paradiso.

Trascinante è assolutamente "How Cold Love Is".

Semplice, un sound pulito con una chitarra acida sullo sfondo, tagliente in ogni momento del brano, che dà senso di tensione mediante due sole note ripetute allo sfinimento. D'altronde il brano parla di amore e di tensione, sentiment reso alla perfezione.

Il ritornello a sua volta segue la formula semplicità = perfezione. Sembra quasi Urban per via della metrica tagliente e scandita del testo, quasi irrispettosa del rock ed ammiccante al punk (non so che ho detto).

Però mi dà una carica incredibile.

Ciò che viene dopo è ancora più trascinante, "Jackie Down The Line" vale quasi l'intero disco.

Qui la voce di Chatten raggiunge la stonatura e forse è proprio questo che rende la melodia penetrante ma allo stesso fragile, perciò rimani in quel limbo, sulla superficie dell'acqua senza andare in profondità... cammini in questo equilibrio precario e quando arrivi alla fine ti rendi conto che era proprio quello a crearti soddisfazione... la riascolterai, e senza accorgertene la canticchierai per qualche giorno.

"Bloomsday" è il brano in cui Chatten dice addio a Dublino, perciò la chiave di lettura è la tristezza, espressa incredibilmente bene dalla chitarra del ritornello (molto diversa da quella acida di "How Cold Love Is"... diventa ora calda e accogliente).

Sto andando in ordine d'ascolto e, finalmente arriviamo al mio brano preferito "Roman Holiday".

Sinceramente non ve la so raccontare... la chitarra è distorta, quasi dissonante e profondamente malinconica.

La linea melodica è ondulata, sembra un'allegra e rockeggiante ninna nanna verso l'estasi, questo non perché è noiosa, anzi, ma perché è ridondante e simmetrica, caratteristiche che per me sono simbolo di perfezione, perciò mi regalano una sensazione di particolare attrazione.

Da qui in poi l'album va a discendere... sarà perché con i brani già sentiti ho raggiunto un alto livello di soddisfazione, o forse perché "The Couple Across The Way" è una ballata di massimo 5 note di accordion ripetute per 3.56 minuti che mi ricordano una canzone che avevo partorito nelle mie notti creative e che avevo finito per odiare... non lo so... però questa è davvero una ninna nanna.

"Skinty Fia" invece, title track non mi convince perché ritorna un po la pienezza dell'arrangiamento che avevo smesso di apprezzare a favore dell'essenzialità.

Stessa cosa vale per "Nabokov", mentre "I Love You" è il loro brano più politico, ma la voce perde un pò la sua magia precaria e non mi trascina.

Insomma questo Gothic Rock alla Cure mi piace e non poco, perché ha un'identità precisa, è poetico, ricco di significati (che potete scoprire leggendo i testi e le miriadi di interviste che hanno rilasciato in occasione dell'uscita dell'album) e ha quel qualcosa che nel rock moderno, ma anche in quello passato, non ho mai percepito; non so cosa, ma qualcosa di particolare c'è.

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