(...) egli subito osserva quell'aspro e pauroso e desolato luogo,
quella prigione orribile e attorno fiammeggiante,
come una grande fornace, e tuttavia da quelle
fiamme nessuna luce, ma un buio trasparente, una tenebra
nella quale si scorgono visioni di sventura,
regioni di dolore e ombre d'angoscia, e il riposo e la pace
non si troveranno, né mai quella speranza che ogni cosa
solitamente penetra; e solo una tortura senza fine
urge perenne, e un diluvio di fiamme nutrito
di zolfo sempre ardente, mai consunto (...)

(John Milton, "Paradiso Perduto", libro I, vv. 59-69)

Esiste vita dopo la morte? Vi siete mai chiesti se, almeno una parte di noi, possa sopravvivere dopo aver oltrepassato i cancelli dell'aldilà? Io sì, mi ha sempre affascinato l'idea di una vita dopo la morte e, anche se personalmente non credo all'eternità dell'anima, devo ammettere che mi  m'inquieta immaginare cosa succederebbe se mi stessi sbagliando, se dopo la morte esistesse seriamente qualcosa. L'inferno (o inferi, che dir si voglia) è sempre stato uno dei punti cardine di quasi tutte le culture passate e presenti e, l'idea della dimora delle anime dannate, ha sempre solleticato la mente dei maggiori pensatori europei. Virgilio pensava all'inferno (Tartaro per i latini) come un regno di disperazione e d'ombre, dove i malvagi erano puniti per l'eternità. Forse il più famoso poeta che si accinse a raccontare la disperazione vigente nell'aldilà, fu Dante che, con i suoi bellissimi e agghiaccianti versi, presentò gli inferi come un luogo d'angoscia e di disperazione, dove le anime dannate erano condannate a subire atroci torture, costrette ad essere divorate da bestie mostruose o dalle incandescenti fiamme infernali, portatrici di nessuna luce.

Alla fine, ognuno è libero di pensare all'inferno come vuole, popolandolo delle sue più grandi, private ed inconsce paure, e magari, pensando che qualsiasi trasposizione metafisica degli inferi sia di per sé errata poiché il vero inferno è quello che si può vivere (o provare) nel mondo materiale.

Una finestra su quest'ultima visione la offre Niclas Frohagen tramite la sua creatura: i Forest Of Shadows, one man band di Stoccolma nata nel 1997 e dedita ad un death doom metal d'ottima fattura. Nel 2001 la band (al cui attivo vanta anche il buon full-lenght "Departure") realizzò l'EP "Where Dreams Turn To Dust", una vera perla nera del doom.

Frohagen sembra aver trasposto in musica tutta la disperazione provata nella vita: le delusioni, le sconfitte, i cattivi pensieri, gli incubi e le paure prendono forma grazie ai testi e grazie alle splendide note scritte dallo svedese.

Si avvia la riproduzione del dischetto ottico, ed è con l'inizio della splendida "Eternal Autumn" che si entra in questa dimensione infernale. Niente a che vedere con lo scenario descritto da Dante, l'inferno che prende vita dalla musica dei Forest Of Shadows è del tutto terreno, non esistono creature sovrannaturali ed atroci torture, se non quelle già esistenti nella mente dell'ascoltatore. La canzone si apre con un'arcaica e struggente melodia suonata da strumenti a fiato, la quale trasporta l'ascoltatore in un mondo rarefatto ed etereo, per poi farlo precipitare nell'oblio grazie all'entrata in scena della chitarra e del growl. Le bellissime linee di chitarra e la modulabilità della voce del cantante (che varia dal growl, ad una voce baritonale ad una più pulita e sussurrata) sono i pilastri di questa splendida traccia, la quale rappresenta il dolore dettato dalla perdita della persona amata. E ci si ritrova così a vagare nell'oblio, proprio come fece Orfeo dopo aver perso Euridice, in un luogo nero e buio dove non penetra luce e dove non si può far altro che vagare disperatamente senza meta. Si arriva in questo stato alla seconda traccia "Wish". Qui è l'odio verso una natura gioiosa che lambisce il corpo sofferente dell'ascoltatore a far da padrone nella scena. E' sicuramente la traccia più oscura delle tre, e si apre con il growl del cantante che grida al mondo la sua disperazione e la sua rabbia. A metà canzone i toni si fanno più pacati, la chitarra tesse una tela più melodiosa e  la voce torna baritonale, si viene cullati in quest'ipnotica danza ancestrale. La traccia si chiude poi con il dolce arpeggio della chitarra che conduce all'ultima perla nera dell'EP: "Of Sorrow Blue". Se "Eternal Autumn"  era la trasposizione della disperazione e "Wish" era quella della rabbia, finalmente, con "Of Sorrow Blue", arriva il momento della resa. Ci s'arrende al proprio destino, non si fa più resistenza e ci si lascia cadere inermi mentre il growl s'intercambia alla voce baritonale del cantante e mentre la chitarra e il  violino, il quale fa la sua prima comparsa all'interno dell'opera, creano bellissimi intervalli melodici e portano con il loro dualismo alla fine della sofferenza.

Questo bellissimo lavoro, dalla durata totale di trenta minuti, riesce a portare l'ascoltatore in un'altra dimensione, ove è impossibile trovare altre sensazioni se non quelle classiche del doom più estremo: dolore, disperazione e claustrofobia. Non ha particolari punti deboli, tutto è al suo posto come vorresti che fosse e, l'unica nota negativa, sta nella durata complessiva dell'opera. sarebbe stato meraviglioso allungare, con un'altra canzone, questo EP trasformadolo in un album completo. Ma è anche vero che l'emozioni non si cronometrano, si vivono intensamente dall'inizio alla fine e, questo pacchetto made in Sweden, di sentimenti ne è pregno. Di conseguenza, non resta  far altro che avviare la riproduzione del cd, stendersi sul letto e chiudere gl'occhi. La vostra immaginazione farà il resto.

Voto 78/100.

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