Dunque, relativamente di getto. Con il primo album "Manifesto spurio della musica simpatica" lo "string" dei "The-" Francesco "G" mette in chiaro le sue cattive intenzioni distribuendo pezzi di dubbio gusto che inglobano alcuni dei principali fondamentali della musica ambientale e digitale vomitati impudicamente addosso agli inermi (ma non incolpevoli) ascoltatori, mischiati a interessanti brani d'ambient. Il modus operandi è abbastanza semplice e si può ridurre a una formula: brutta la prima.

Se questo esperimento è sicuramente interessante e suggestivo in buoni tratti, il successivo "Music Terminal", seppur con lo stesso procedimento basato sull’improvvisazione, risulta più curato, ponderato e maturo, lambendo risultati che hanno del visionario, e inserendosi prepotentemente tra i più interessanti lavori di avanguardia degli ultimi anni.

Nonostante l'inconfondibile stile di fondo scanzonato e non-curante (che tanto ha dato all'Opera dei The Strings) qui il nostro riesce a controllare meglio la pretesa umoristica concentrandosi di più su una musica introspettiva (ma anche estrospettiva), che già era presente sul primo lavoro. I primi 4 lunghi brani, acustici, ne sono la prova. Viene utilizzato un chitarrismo tipicamente Faehyiano per narrare in realtà uno stato d'animo molto diverso. Straniamento e serafica inquietudine, scarni e sghembi pezzi folk melanconici e cangianti che, al di là di ogni aspettativa, sono caratterizzati da una fredda e primordiale aura metafisica dovuta in parte alle disorientanti successioni armoniche anarchiche e anti-intuitive che non sacrificano momenti di dolce melodismo, in parte all'aggiunta in post produzione di registrazioni in reverse dosate e brillantemente posizionate (a caso) all'interno dei brani, che quasi non ce ne si accorge. Si ottiene così una rarefatta atmosfera onirico/ipnotica all’interno di una inedita ed evocativa commistione tra free-folk ed elettronica, che pare tanto un miracolo vista la sua “non-ricercatezza”. La miniatura-capolavoro percussiva Due assoli di batteria fa da spartiacque tra la prima e la seconda facciata. Elettrogenia Senza Utilizzo di Propulsore è una sgangherata e preziosa piece di psichedelia pesante non molto dissimile dalle composizioni dei Bardo Pond/Hash Jar Tempo; verso la fine si segnala, in mezzo alla cieca (e sorda) trazione del vortice rock-psichedelico, anche l'incursione di un piccolo collage noise di effetti in post produzione. Con Bites e rolinsons (duetto tonino e Gianni) si riesumano le belle scorribande dei due amici che già avevamo potuto apprezzare nel primo album, un must di cui non avremo mai abbastanza. Ed eccoci giunti all'ultima parte del viaggio con Sentimental Peripathet e soprattutto Suite Elektronak: I Panico Industriale; II Reflusso Cibernetio; III Burla che è un'inscalfibile gemma dell'automatismo e della musica simpatica, delirio diligentemente e saggiamente tessuto con impertinenza inaccettabile su basi di pianolina Bontempi che spazia dalla dance, alla trance, alla cosmiche muzek, al pop, ai balli latino-americani, alla maledetta musica da balera, attraverso cambi di ritmo, di timbri, di velocità continui, un vero e proprio luna park musicale. La suite Dedicated To You But You Were A Solar System chiude l'album in gloria (del tutto equiparabile alla chiusura dell'album precedente); una musica cosmica ribollente e disarticolata che si muove tra toni indefiniti, sussulti, stasi, onirismo, voli pindarici, velocità siderali, weltanschauung, anche citazioni omaggianti i Faust, fino al finale commovente e straziante, che strilla sgraziato e impotente in uno sterminato spazio alieno; il punto dolente, specie di quest'ultima piece è la bassa qualità e "credibilità" di alcuni fondamentali effetti utilizzati che ne potrebbe inficiare immersione e fascino.

Insomma composizione automatica, dilettantismo, incompetenza, pressapochismo dichiarato, mancanza di rispetto, con improvvisazione e "buone le prime", massiccio abuso di effetti in reverse velocizzati o rallentati che risolvono inaspettatamente bene la carenza di voglia di comporre, ma un'incontenibile volontà espressiva libera da vincoli in concomitanza con una originalità innata e una forte personalità, per un album anti-autoindulgente senza né capo né coda che a primo acchito può sembrare una boutade, ma che migliora esponenzialmente dopo il quarto ascolto. E in fondo, al netto del (dis)impegno, quello che conta è il risultato d'insieme.

P.S.: Essendo in qualche modo in competizione sul piano compositivo sono stato molto severo nell’ascolto e valutazione dell’album del collega, non potendone alla fine che constatare l'assoluta validità.

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