Nella storia della musica si parla spesso di un anno come del momento in cui un genere raggiunge la sua massima diffusione. Gli esempi sono molteplici: il 1968 viene ricordato per il trionfo del rock, il 1977 per l’affermarsi del punk e della disco music (bizzarro binomio), mentre il 1991 è senza dubbio l’anno del grunge. E il 2005? Si può considerare l’anno della drum and bass, o meglio del suo ritorno.
Nata come evoluzione del rave sound (in particolar modo della jungle e dell’hardcore inglese), la drum and bass si diffonde nel 1995, quando vengono dati alle stampe album seminali come Parallel Universe dei 4hero e Timeless di Goldie; tuttavia è nel 1997 che il genere si impone a livello internazionale, grazie alla pubblicazione dell’epocale New Forms di Roni Size & Reprazent, lavoro che ne definisce le coordinate, decretandone il meritato successo. All’inizio del nuovo secolo la drum and bass subisce una battuta d’arresto, causata dall’affermarsi di nuovi trend come l’electroclash e il revival degli anni Ottanta, che la relegano in una posizione di secondo piano. Nonostante ciò una serie di producer continua a sfornare album e 12 pollici, capaci di rinnovarne il sound e di raggiungere risultati notevoli (i lavori dei Total Science, l’ottimo Book Of The Bad dei Bad Company). Arriviamo al 2005: l’uscita di Hold Your Colour degli australiani Pendulum fa parlare di una “revival in popularity” del genere, culminante nel remix di “Voodoo People” dei The Prodigy, realizzato dagli stessi Pendulum e accompagnato da un videoclip d’impatto, in heavy rotation sulle televisioni dell’epoca.
In questo contesto si inserisce Warlords Rising dei Future Prophecies. Il duo, formato da Richard Animashaun Thomas e Tony Anthun (entrambi originari di Oslo), si fa notare per una serie di singoli ed EP pubblicati per etichette come Moving Shadow, Renegade Hardware e Breakbeat Kaos, che rivelano le loro potenzialità. Nel 2005 esce Warlords Rising, primo full lenght del gruppo, un lavoro che nelle sue undici tracce conferma decisamente le capacità di Thomas e Anthun. Elemento distintivo della band è il suono aggressivo e oscuro, assimilabile alle correnti dark e techstep, inaugurate da musicisti come Ed Rush & Optical e dagli stessi Bad Company.
Avviata la riproduzione veniamo subito tramortiti da “Dreadlock”, un perfetto mix di tastiere techno, atmosfere giamaicane e broken beat, capace di creare un brano di successo, perfetto per il dancefloor. Altrettanto devastante è “Bring the Noise”, nella quale i nostri usano il “Bass!” di Chuck D dei Public Enemy e lo inseriscono in una traccia minacciosa, che non sfigurerebbe in Industry di Dom & Roland. I Future Prophecies non si limitano tuttavia a massacrare i nostri timpani, ma si concedono delle interessanti escursioni nella world music, nel jazz e in sonorità ambientali, che provano a rendere più varia la proposta del duo nordeuropeo. Particolarmente riuscita è “Miniamba”, dove la voce di Mari Boine (famosa per il remix di “Gula Gula”, inserito nell’ottavo Café Del Mar) incontra i bpm elevati della drum and bass, in una sintesi che evoca fiordi, aurore boreali e terre lontane. La scelta di inserire parti vocali si rivela azzeccata anche in “Black Dragon”, un pezzo caratterizzato da ritmiche sostenute alternate a fasi più sospese ed evocative. L’oscillazione tra momenti tesi e dilatati risulta spesso riuscita, come nel caso della violenta tech and bass di “Magnetic”, punteggiata da echi e voci suggestive, mentre “Deceived” e “September” sono i brani più rilassati del disco, dominati da chitarre e strumenti a fiato e, pur essendo apprezzabili, risultano leggermente fuori luogo. Poco importa, perché il finale è una vera mazzata: “Dark Matter” mantiene le promesse, trascinandoci in abissi profondi, tra grida e tastiere infernali, seguita dalla title-track con la sua atmosfera orrorifica, in cui una voce ci ricorda che stiamo procedendo egregiamente e siamo pronti al combattimento: “You are ready to fight the Shaolin”.
Tralasciando la durata un po’ eccessiva (circa settanta minuti) e il sound non particolarmente lavorato (qualcuno direbbe “basic”), Warlords Rising resta un ottimo esordio, potente e pestone al punto giusto. Purtroppo la diffusione della dubstep segna il veloce tramonto del genere e dei Future Prophecies, fatta eccezione per alcuni singoli, si perdono le tracce. Solo recentemente i due pubblicano le compilation Raw e Plastic Dreams, che raccolgono le produzioni precedenti a Warlords Rising, il quale, ad oggi, resta uno dei migliori lavori della ormai ex “new wave of drum and bass”.
Provare per credere.
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