"Wounds". Ferite. Il secondo disco di questa band di Glasgow si compone di sette ferite che si fanno strada tra miriadi di influenze: post-punk, slowcore, doom, drone, noise. Tra Dead Can Dance, Swans, Sleep, Joy Division, Mazzy Star e Codeine. "Wounds" non è una caduta libera in un abisso nel fondo del quale ci aspetta un vortice vischioso e violento che ci polverizzerà ma è, piuttosto, la lenta esplorazione di un antro freddo e buio in cui reggiamo una lampada ad olio che emana una luce fioca.
Ci troviamo di fronte un lavoro oscuro, dal tappeto sonoro per nulla monolitico ma anzi, studiato e costruito da un gruppo in grado di destreggiarsi con una maestria invidiabile tra le sonorità più plumbee di vari generi. Le sonorità più funeree del doom si accompagnano a quelle del dream pop che potrebbero essere descritte dallo stesso aggettivo. Il suono è arrichito dalla spettrale performance vocale di Tiffany Strom e dal suono dei synth, i quali vanno ad arrichire brani lunghi, edificati in crescendo, dal sapore asciutto e notturno.
Un viaggio segnato dall'introspezione più cupa che si chiude magistralmente nelle sfumate note di pianoforte di "Where" in una perfetta conclusione dei sette inni alla notte che compongono questo lavoro,
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