Nel '72 l'esordio colmo di inni rock, l'anno dopo un'altra manciata di singles, tra cui l'incredibile "I'm The Leader Of The Gang (I Am)", consacrano Gary Glitter a re del pianeta Stardom. Nel 1974 esce il suo secondo lavoro, "Touch Me", una riconferma. Ci troviamo in effetti di fronte al secondo episodio di "disco-raccolta", di singoli, di covers e di riempitivi. I primi mantengono gli elevati standards, soprattutto con l'ottima "Do You Wanna Touch Me? (Oh Yeah!)", con quel coro di scolaresca defunta che "intona" senza vita "Oh Yeah, Oh Yeah"... Più o meno gli stessi ingredienti per "Hello, Hello I'm Back Again" con altrettanti saluti in coro scazzati. Il glam purissimo spicca in "Hold On To What You Got", mentre in "Hard On Me" e "Sidewalk Sinner" ci si lascia un po' prendere dalla voglia di (rhythm and) blues.
Sul fronte covers ci si limita ad un'intelligente versione edulcorata di "Money Honey", con tanto di applausi finti all'inizio del brano. Quindi una dose eccessiva lenti, troppo sugli standards compositivi degli anni cinquanta e sessanta americani; "Lonely Boy", poi, sembra "These Arms Of Mine" appena uscita dalla voce di Otis Redding. Brani, insomma, prevedibili dalla prima all'ultima nota, così come i non pochi episodi rock n'roll tradizionale come "I.O.U." ed "Happy Birthday".
Niente da fare: il disco migliore di Gary Glitter gliel'hanno fatto le case discografiche, con le compilation di hits. E quest'ultime non hanno solo regalato a Glitter la gioia di un album bello tutto quanto per intero, ma hanno ovviamente ingrassato ulteriormente il portafogli di questo dissoluto personaggio, in carcere con l'accusa d'aver avuto rapporti sessuali in Vietnam con decine tra non maggiorenni ed addirittura infanti... Per ritornare alla musica, alcune delle sue collections, dicevamo, intelligentemente estrapolano brani da un periodo circoscritto, un quinquennio, addirittura un biennio, riuscendo nell'intento di fornire un lavoro credibile dal punto di vista per così dire "documentale" e storico (un'icona dei seventies nel suo periodo di maggior splendore, e cioè i seventies), ma anche se non soprattutto, grazie ad arrangiamenti "vicini" tra brano e brano, qualcosa di artisticamente compatto e credibile. E di valore. Quando passate dal record shop, fateci caso: il tipo si fa chiamare Gary Glitter, e di lui basta una buona collection.
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