I Gentle Giant ci hanno lasciato 11 album di studio, che valuto personalmente così:
Gentle Giant (1970)*** Acquiring The Taste (1971)**** Three Friends (1972)***** Octopus (1973) **** In A Glass House (1973)**** The Power And The Glory (1974)**** Free Hand (1975)***** Interview (1976)** The Missing Piece (1977)*** Giant For A Day (1978)** Civilian (1980)**
A chi non li conosce e voglia accostarsi alla loro splendida musica consiglio di provare con “Three Friends”, o questo “Free Hand”. Sono (relativamente) i più immediati del lotto, a parte gli ultimi due che risultano assai poco rappresentativi dello stile Gentle Giant, all’epoca alle prese con un vano tentativo di semplificazione a fini commerciali della loro produzione. Tale giochetto andò benissimo ai Genesis nello stesso periodo, andò invece male a loro che per il pop non erano proprio tagliati. L’incredibile virtuosismo di questi musicisti è godibile nelle strepitose strutture ritmiche che assegnano al loro strumenti (ogni tipo di tastiera compresi vibrafono e xilofono, ogni tipo di chitarra, e poi violino sax flauti… oltre a basso e batteria) ed alle loro quattro voci.
Il musicista senza uguali della formazione è Kerry Minnear, un tipetto che si circonda di Hammond, pianoforte, piano elettrico, clavinet, sintetizzatore, vibrafono… e dal vivo anche saltuariamente flauto dolce e Stratocaster. Ogni volta che allunga le mani su uno strumento vengono fuori cose geniali, che sia uno delle migliaia di contrappunti con cui incastona i pezzi o un assolo di vibrafono o un passaggio di piano. Quando poi si mette a cantare… incredibile! Ha una voce… medievale! Antica. Dolce. Poco potente ma evocativa di altri tempi. Insomma, vecchia di 800 anni e colonna sonora ideale da mettere in auto per un bel giro di castelli fra Canterbury e Bath fino su a Edimburgo. Quando c’è da urlare e sovrastare la spinta rock ci pensa invece Derek Shulmann, uno dei due fratelli del gruppo (un terzo fratello se ne andò dopo il quarto album, suonava i fiati e cantava… meglio di tutti gli altri!). L’altro fratello, Ray Shulman, è essenzialmente un bassista di infinita personalità e inventiva, perno di tutti gli incastri armonico/ritmici che si succedono nella loro musica. Svaria anche lui spesso e volentieri, al violino ed alla chitarra acustica, e dà una mano nei cori. Per cori, si intende qualcosa di molto ma molto lontano dalla ben diffusa armonizzazione del canto principale, o da qualche “risposta” alla voce solista. Raggiunti alla quarta voce dal chitarrista Gary Green (che bravo, pure lui!… ), vengono organizzati dei corali da sballo, con rincorse su e giù per le divisioni ritmiche di assoluto godimento.
Una di queste è alla base del secondo pezzo di questo album, “On Reflection”. Parte Derek presto raggiunto da Ray in contrappunto e poi dagli altri due, per un primo minuto “a cappella” che sembra di stare dentro Mont Sant Michel. La stessa partitura viene ripetuta arricchita da uno xilofono suonato dal… batterista John Weathers, che ha il pudore di non cantare. Gli inseguimenti polifonici si risolvono, alla maniera progressive, in una nenia interpretata dal solo Minnear, roba da vedere gli gnomi uscire dal caminetto… e per il finale viene suonata la stessa partitura polifonica per voci dell’inizio, ma stavolta strumentale con pianoforte, chitarra, basso e xilofono. E’ tale la spaziatura fra i vari strumenti, la dinamica creata dagli accenti tutti diversi delle esecuzioni, la ricchezza cromatica che l’orecchio vi si perde beato… venendo poi “salvato” dalla batteria che entra in perfetto 4/4 e tutto il casino intorno a lei si scopre in perfetta, variegata ma logica successione ritmica. Una libidine!
“Just The Same” che apre l’album inizia invece con uno schioccare di dita, in levare su un pianoforte che “stacca” in 6/4. Alle dita si sostituisce, dall’altra parte del panorama stereo, una chitarra, che prende a “inseguire” il pianoforte. Parte il cantato di Derek Shulman in… 7/4! Sposta così sempre di più i suoi accenti rispetto a quelli degli strumenti ritmici e… ci rivediamo nel ponte! Dove puntualmente si ricongiungono tutti in perfetta sincronia. Io dico, il cervello umano queste cose lo nutrono assai, ed è chiaro che non è musica da ascoltare mentre si fa qualcos’altro... è roba che o gli si dedica attenzione, o è meglio lasciar perdere. Se gli si concede la mente e l'intelleto, i Gentle Giant ti danno, oh se ti danno!
“Free Hand” l'album è fatto solo di sette pezzi, finisce presto ma ci vogliono ripetuti ascolti per entrarvi in sintonia. Consiglio perciò di infilare questa musica nello stereo, o nell’iPod, o nel PC ed ascoltarla in successione diverse volte, senza nient’altro ad intervallare. Roba buona, fa bene.
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