Ma si può superare indenni quest'ultima settimana occupata dalla kermesse nazional-popolare del festival di Sanremo? Certo, i metodi sono infiniti e non è il caso di preoccuparsi per l'eventuale accusa di essere snob radical-chic. Per quanto mi riguarda, proprio per evitare di sprofondare in poltrona, dopo una dura giornata lavorativa, davanti al televisore sintonizzato sull'evento (e magari finire addormentato dopo qualche minuto) ho cercato in tutti i modi di tenere impegnata ed allenata la mente. E, fra le altre attività, mi sono preso questo libro intitolato "Beatles e Rolling Stones, apollinei e dionisiaci" a firma di Gino Castaldo, vero e proprio addetto ai lavori nel campo dell'analisi e critica musicale (rock e non solo) da qualche decennio a questa parte. Il libro, edito da Einaudi, me lo sono sorbito con somma calma ed intenso piacere, come fosse un rosolio sopraffino. Forse l'argomento è vetusto da alcuni decenni (e nella mia biblioteca non mancano testi dedicati ai due gruppi), ma indubbiamente Castaldo sa attirare l'attenzione del lettore con una prosa lineare e chiara nell'arco di sole 136 pagine, stimolando la riflessione su fatti consegnati alla storia e pur sempre affascinanti.
La premessa è chiara: ma per quale ragione strampalata un amante della musica (rock e non solo) come può essere Castaldo (e con lui tanti altri giovani negli anni '60 e anche nelle successive decadi) dovrebbe scegliere da che parte stare? Beatles o Rolling Stones? Una domanda assurda, come se si dovesse scegliere fra papà e mamma. E infatti l' autore del saggio propone un'efficace chiave di interpretazione dell'intera querelle storica imperniata su Beatles versus Rolling Stones.
In buona sostanza, al di là di certe differenze di facciata fra le due band, non ha senso pensare ad una radicale differenza. Semmai si può ricorrere a certi precedenti della mitologia greca e vedere nei Beatles i discendenti del dio Apollo e nei Rolling gli emissari del dio Dioniso. Con tutto ciò che ne consegue, poiché si può essere eleganti e geniali, levigati e atarassici come Apollo, ma ad essere sfrenati e sulfurei, impegnati magari in qualche orgia bacchica si passa dalla parte di Dioniso. E comunque resta vero che, per quanto si sia misurati comme il faut, pure Apollo finirà con l'indulgere in modo sporadico alle passioni ("semel in anno licet insanire" per dirla con Cicerone). E lo stesso Dioniso, spesso e volentieri stordito dai piaceri, dovrà ogni tanto rientrare in possesso delle proprie facoltà mentali, proprio per evitare spiacevoli ed esiziali conseguenze. Dando per valida questa ipotesi interpretativa di Castaldo, l'intera questione del duello fra i due gruppi inglesi acquisisce un aspetto tutto particolare (e le vicende specifiche della loro carriera lo confermano, inutile stare qui a rievocarle).
Ma se appare evidente, dal saggio di Castaldo, che dire Beatles e Rolling Stones è come parlare di yin e yang del rock dagli anni '60 in poi (o polo positivo e polo negativo), qualche nota a margine di quanto esposto dall' autore mi sorge spontanea.
Intanto, la dicotomia fra le due band è senz'altro accademica (e ogni tanto viene riproposta), ma va inquadrata in quel periodo storico incredibile per la musica (e non solo) rappresentato dagli anni '60. Perché giusto nel 1970 fu reso noto che i Beatles si erano sciolti ed i singoli componenti avevano optato per creare musica separatamente. A che pro, mi chiedo, continuare a porsi il quesito "meglio i Beatles o i Rolling Stones?" Da quella data non vi era necessità di raffrontare un gruppo verso 4 singoli musicisti ormai ex Beatles. Questi ultimi, ognuno per conto proprio, hanno proseguito musicalmente bene, ma con una resa discontinua (mentre insieme non avevano mai toppato). E comunque provare ad immaginarli ancora insieme negli anni seguenti mi risulta difficile. Sarebbero stati ancora in grado di dettare la linea musicale a tout le monde, mentre nuovi stili come prog rock, glam rock, heavy metal, punk, disco music si diffondevano? È lecito dubitarne.
Per contro i Rolling Stones (e Castaldo lo lascia intendere) si sono immersi nel ruolo di "greatest rock and roll band in the world", mentre il panorama sonoro circostante mutava costantemente. Insomma, anche per i ragazzacci Rolling non è stato facile reggere il confronto con certe nuove tendenze da un certo punto in poi. Sono diventati quindi un po' il monumento di sé stessi.
Aggiungerei poi un altro aspetto. Castaldo nota che l'alterita` fra i due gruppi è stata in fondo un'astuta mossa di marketing. I Beatles apparivano un po' come ragazzi vivaci si`, ma pur sempre dai modi impeccabili, mentre i Rolling avevano l'aspetto trasandato e per niente rassicurante. Tutto vero, ma allora mi viene da pensare che in entrambi i casi l'aspetto era ingannevole. Tanto per dire, i ragazzi di Liverpool si presentavano bene poiché il loro manager Brian Epstein aveva pensato di conferire un bell'aspetto a 4 ragazzi di estrazione popolare. E i 5 Rolling, su input del loro manager Andrew Loog Oldham, posavano ad avere un'aria maudit pur provenendo da ambienti della media borghesia. Insomma, ci sarebbe da tenere in debita considerazione l'efficacia di certe manovre di quello che era abile marketing (nulla di nuovo sotto il sole..).
Un'ultima mia considerazione. Leggendo questo libro agevole di Castaldo dedicato al tema dianzi rammentato, non ho potuto non rendermi conto che, nel 2022, si sta dibattendo un argomento risalente a tanto tempo fa. Di quella luminosa stagione (anni '60) restano ancora in attività alcuni superstiti che ogni tanto pubblicano dischi pur sempre degni di considerazione. Purtroppo, però, il tempo non è dalla loro parte (e questo vale non solo per i superstiti Beatles e Stones, ma anche per altri arzilli musicisti). Dover rendere conto dei guai artrosici di questi ex ragazzi mi rattrista. Tanto vale, allora, non solo leggere un libro come questo da me segnalato e recensito, ma anche tornare a riascoltare la discografia ufficiale di tanti gruppi e solisti ancora in pista. Certamente non è tempo sprecato.
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