”Nei piccoli paesi c’è della gente che farebbe delle miglia per venire a portarvi la cattiva nuova”

Sebbene tutto ciò che c'era da dire sia già stato detto.

Mentre ascoltavo distrattamente SuperQuark, ho sentito Piero Angela affermare che la percentuale di bambini con un padre diverso da quello anagrafico si aggirava intorno al dieci per cento (poi leggendo qua e là, dato che non esistono, ovviamente, statistiche precise, ho visto che il dato oscillava ampiamente da un lato e dall’altro di questa cifra). Comunque sia, dopo aver pensato alla mia ingenuità fanciullesca, per cui per ritrattare una mia certezza ho bisogno dei tempi di San Tommaso, e quindi, dopo aver poi passato in rassegna tutti i visi di padri diversi dai presunti figli di mia conoscenza, son giunto a sconcertanti scoperte, ma soprattutto, ho ripreso tra le mani un libro che tutti conoscono e molti hanno letto: Il Mastro Don Gesualdo di Giovanni Verga.

Il racconto prende avvio dal momento in cui Isabella Trao rimane in drammatica attesa. Di conseguenza, Mastro Don Gesualdo, un nuovo arricchito, fa il suo ingresso nell’alta società del paese. Infatti, il canonico e altre avide macchiette vedono nel matrimonio tra lui e Bianca Trao (della nobile e poverissima famiglia Trao), la soluzione per ovviare alla tragica gravidanza di Bianca, conseguenza della relazione col cugino e Barone Ninì Rubiera. Il matrimonio tra i due non è infatti concepibile (Ninì non potrebbe mai sposare la cugina senza dote). Messi da parte patimenti e sofferenze, il matrimonio tra il parvenù e la nobile decaduta si farà nell’assenza pressoché totale della nobiltà del paese. Nel frattempo Don Gesualdo fa sposare la sua Diodata (una serva con cui aveva una relazione) con un suo lavoratore, Nanni l’orbo.

Dopo il matrimonio, Don Gesualdo continua ad arricchirsi facendo buoni investimenti e copre gli investimenti e gli sprechi di familiari (padre, fratello, sorella, genero, figli legittimi e illegittimi). Fino a che...

Insomma, riepilogando, in tutto assisteremo e sentiremo parlare di queste quattro nascite:

  • Isabella Trao Motta, che non è figlia di Mastro don Gesualdo, bensì di Ninì Rubiera.

  • Gesualdo e Nunzio, che non sono figli di Nanni l'orbo, ma son figli di Mastro don Gesualdo.

  • La figlia di Isabella, nonché nipote di Mastro Don Gesualdo, non è figlia del Duca di Leyra, ma del cugino Corrado La Gurna.

“...si aprì l'uscio all'improvviso, e apparve donna Bianca, discinta, pallida come una morta, annaspando colle mani convulse, senza profferire parola, fissando sul fratello gli occhi pazzi di terrore e d'angoscia. Ad un tratto si piegò sulle ginocchia, aggrappandosi allo stipite, balbettando: ― Ammazzatemi, don Diego!... Ammazzatemi pure!... ma non lasciate entrare nessuno qui!...”

Le immagini del libro sono eloquenti. Per come funziona il mondo, anche il mito della dolce attesa rimane quel che è, ovverosia un mito. In questo racconto, in questo paese, in questa famiglia, la vita, dal concepimento alla morte, è una mare di insidie, un oceano di dolore, a cui ci si aggrappa, nonostante tutto, perché, in ogni caso, bisogna andare avanti.

Dalla nascita, come sopra, alla morte.

Nuovamente.Bianca Trao, ridotta in fin di vita dalla tisi, si scopre gelosa del marito, che non aveva amato, e si attacca alla vita, non appena percepisce che il cugino Zacco, curava con le figlie la casa, nell’intento di sostituire una di loro a lei, non appena fosse morta.

Il tutto avviene nel contesto storico della Sicilia della prima metà dell’ottocento, tra epidemia di colera e di tisi (per le quali si potrebbero scrivere numerosi articoli di stretta attualità), rivoluzioni che si trasformano in carnevalate, società segrete e movimenti egualitari.

Tuttavia, la vicenda ha anche una dimensione atemporale, in quanto mostra in modo perlopiù asciutto le dinamiche delle relazioni sociali. La lotta per la sopravvivenza soggiace dietro l’ossessione per la roba di Gesualdo, dietro gli ostentati obblighi di parentela, dietro i contratti sociale, dietro i vezzi amorosi giovanili, dietro lo snobismo cittadino. In questo universo essa si fa particolarmente spietata, muove tutto, esclusi i pensieri, plasmando una variegata umanità cinica, nella quale ognuno cerca di accaparrarsi la fetta più grossa di Roba.

Sebbene la penna di Verga ceda a qualche lieve sentimentalismo, parodico (i sogni vagheggiati dalla piccola Isabella) e non (dinanzi alla morte di Bianca e di Gesualdo), Verga utilizza per lo più una sapiente polifonia per mettere a nudo la natura umana in società. Si viene immersi in un vortice in cui si può sentire, nel giro di pochi periodi, ciascun personaggio ordire la propria tela, utilizzando le parole per mandare un doppio messaggio: quello letterale e quello subliminale; anche chi, come i Trao, opera secondo una dignità di casta, o chi, come Isabella e Corrado, vive secondo idealismi allora in voga, non lo fa per un sincero moto dell’animo, ma perché quello è l’unico modo che gli è stato insegnato per sopravvivere.

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