Osservate come viene deciso da noi l’acquisto di un disco, specie se non si è dei musicofili esperti pronti a destreggiarsi tra i tanti condizionamenti al riguardo da parte di tv, radio, web e giornali. Questa invadenza, iniziata decine di anni orsono, quando il web non esisteva ancora, di recente con lo stesso è diventata insopportabile con i media e social, da quando sono solo questi ad imporre ed a mantenere vivo un artista o un disco, oppure qualunque forma artistica o di pensiero, non sono più i sentimenti e le sensazioni di noi fruitori, nè le scelte o lo stato dell’arte di chi li ha realizzati, ma bensì, nel caso della musica, specie quella dei giovanissimi, sono sempre più le case discografiche, e la loro ingerenza nella gestione dei talent show.
Diversamente dal nostro paese, dove per affermarti devi necessariamente conoscere qualche sponsor, ed è impossibile, partendo da piccole realtà, esprimere liberamente il proprio talento, negli States, malgrado i tanti contrasti, esiste tuttora il sogno americano, dov’è possibile far emergere dal niente dei veri Musicisti in base ai loro meriti; riferendoci sempre alla musica di quel paese, esistono piccole ed apprezzate case discografiche indipendenti a cui va il merito d’aver scoperto degli Artisti di prima grandezza.
Con l’auspicio che anche in Italia un giorno si possano fare scelte sinceramente autentiche, nel nostro caso musicali ed artistiche, perché forse esiste ancora sottotraccia quest’eventualità, e continua ad esistere anche quando noi la trascuriamo; basterebbe valorizzare quei piccoli contesti locali dov’è possibile liberamente creare, immaginare, imparare, insegnare, promuovere, ascoltare e suonare la musica con la M maiuscola, senza dover sottostare necessariamente a chi invece fa solo business, senza metterci anima né talento.
Accontentiamoci di ciò che arriva di tanto in tanto da quell’altra sponda (States, Canada), dove a volte nuovi Musicisti di valore nascono ancora da piccole realtà, come nel caso di uno tra il freak ed il loner solitario come Gove Scrivenor, e di questo suo splendido album, ignoto ai più, Shady Grove, prodotto nel 1976 dalla semisconosciuta Flyng Fish Records, una delle case discografiche indipendenti di cui parlavo prima, che scoprii nei primi anni ’80 grazie ad una rivista specialistica di allora, di quelle che continuano ancora a produrre nuovi talenti, casomai ce ne fosse ancora qualcuno in questo mondo fatto solo di business.
Completamente diverso da quelli che giravano in quei tempi, questo Artista per me fu una vera e propria scoperta, virtuoso ed estroso cantautore polistrumentista, divertente e divertito, a metà strada tra blues, folk e country music, tutto da scoprire, perché la sua è Arte schietta e genuina fatta di piccole canzoni; in particolare questo bel disco, dove partecipano amichevolmente musicisti come Doc Watson, John Hartford e Buddy Emmons, che include oltre a suoi brani anche dei classici, impreziositi dal suo stile unico; è un album eccezionale e vivace, dove lo stesso trasmette, in modo brioso, le sue peculiarità di persona esuberante, vivace ed entusiasta della vita, completamente fuori dai soliti schemi, nascosto al business discografico; qui non ci sono generi né etichette a cui far riferimento, perché la musica è bella senza la necessità di doverla catalogare, è un bel disco, di cui, senza dilungarmi ancora, sono da segnalare alcuni piccoli capolavori senza tempo, come (ad esempio) il classico Sugar Babe ed il tradizionale Cocaine Blues, dov’è lo stesso canta , con la sua voce particolare, roca e potente, e suona acoustic guitar, slide guitar ed autoharp, che non è propriamente un'arpa, ma una variante dello Zither austriaco, vicino al dulcimer, che è in uso nella regione dei monti Appalachi per accompagnare la musica folk ed il bluegrass.
Se non conoscete ancora Gove Scrivenor, una volta trovato sul web questo raro Shady Grove, ascoltatelo perché suona della bella musica, questa potrebbe essere l’occasione giusta per conoscerlo…
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