Più volte ho scritto su Debaser del mio amore assoluto, totale verso gli Husker Du; mi hanno preso per mano e mi hanno introdotto verso una tipologia di Musica che è poi diventata una colonna portante dei miei infiniti ascolti. L'incontro con il power trio di Minneapolis-St.Paul è avvenuto nell'inverno del 1984 quando le mie orecchie furono da subito devastate dai primi ascolti di quella autentica Bibbia che è stato, e lo è tuttora, Zen Arcade. Sono sempre rimasto affascinato dall'aspetto di Grant Har ai tempi degli Husker: un hippie-freakettone fuori tempo massimo. Imbolsito con una più che abbondante "pancetta" ma che sapeva suonare la batteria in un modo unico e micidiale, riuscendo anche a cantarci sopra. Sappiamo tutti come è finita questa enorme storia non solo musicale, con la drammatica ed insanabile rottura durante un tour tra Grant e Bob.

Grant ci ha lasciati nel settembre dello scorso anno, consumato, annientato da un tumore; da quel momento ho fatto una fatica inimmaginabile a riascoltare il suo ultimo capitolo discografico che provo oggi a raccontarvi. Troppo "forte" quella sua foto nel retro copertina quando già la malattia che lo avrebbe portato alla morte lo stava dilaniando. Appare smagrito ed irriconoscibile se confrontato con qualsiasi sua immagine degli anni ottanta.

Poi piano piano negli ultimi mesi mi sono in qualche modo riconciliato con The Argument e sono riuscito a riascoltarlo provando quelle inevitabili fiammate emotive nemmeno descrivibili con la fredda tastiera del mio computer. Ma a questo punto è sorto un altro problema non trascurabile: la mia tremenda difficoltà a cavar fuori qualcosa di buono, a mettere per iscritto tutto quello che provo per il disco, per Grant. E' sempre stato così e lo sarà per sempre quando devo raccontare i miei personali "pilastri" musicali; e non è la prima volta che mi trovo in queste condizioni da quando frequento Debaser.

La voglia di mettermi al lavoro, o almeno di provarci, l'ho avuto questa mattina incontrando l'amico Marco conosciuto qui da noi come Lewis Tollani; abbiamo parlato di Musica come avviene da decenni nei nostri ritrovi. Mi ha raccontato dell'imminente concerto di Johnny Marr a Milano al quale presenzierà; abbiamo discusso a lungo sull'album migliore dei Sepultura, sui Felt, sui Metallica, sui Judas Priest ed inevitabilmente siamo infine arrivati al nostro Grant Hart. Ho spiegato a Marco di una mia idea che ho avuto in queste ultime giornate per partire con la recensione di The Argument: mi ha dato una gran pacca sulla spalla pronunciando più o meno questa frase "Vai Lorenz ottima base di partenza questa tua attenta osservazione".

E allora andiamo caro il mio De...Marga...

Devo ancora guardare indietro, e ritornare alla registrazioni dell'ultimo disco degli Husker Du; quell'altro monumento sonoro intitolato Warehouse:Songs and Stories. Quasi settanta minuti di incadescenza uditiva composta da venti brani; per contratto dovevano spartirsi dieci brani a testa Bob e Grant, già da tempo ai ferri corti per molti motivi. Ma alla fine Bob impone il suo dictat, impone la sua ferrea volontà e scrive una canzone in più. Finisce così 11 a 9 ed è la classica goccia che fa esplodere tutte le tensioni da mesi sopite. Grant si lega al dito il tradimento della profonda amicizia che lo ha tenuto aggrappato a Bob nella incredibile carriera della band. Siamo alla rottura definitiva che verrà sancita con l'interruzione di un concerto e l'uscita di scena della band durante il tour promozionale del disco. Non ci saranno mai più rimpatriate, non suoneranno mai più insieme.

The Argument è composto da venti brani; a parer mio non è una scelta casuale quella di Grant. Sa di essere malato, sa che non resta molto tempo da vivere. Potrebbe essere l'ultimo suo lavoro ed allora vuole prendersi una personalissima rivincita. Sembra voglia dire a Bob: "Ancora venti canzoni come Warehouse; ma questa volta sono tutte scritte da me; questa volta ho vinto io caro il mio Bob" E' proprio così: venti a zero. Punto e a capo.

Ho già scritto molto, forse anche troppo. Ho parlato pochissimo del disco; ma non ho molto altro da dire.

E' un lavoro ambizioso, imponente visto che supera i 74 minuti di durata. Ma non c'è una sola nota fuori posto; è un testamento sonoro che mi ha fatto ridere, piangere, gioire, pensare.

E' il Grant che ho sempre amato quello che mi trovo di fronte nell'ascolto; la sua voce è sofferta, ma ancora capace di regalare emozioni. Tante emozioni.

E' un concept album che si ispira ad un racconto inedito di William Burroughs: la caduta dell'umanità vista dalla parte di Lucifero.

Un lavoro che guarda a tutto il passato di Grant; ci sono armoniche, carillon, strumenti antichi per un lavoro che profuma di antico, di barocco.

Mi basta citare il meraviglioso secondo brano "Morningstar" che è anche il mio preferito. Con quel coro ripetuto più volte capace di farmi ritornare indietro negli anni, a quegli anni così importanti per me...You are, You are the Morningstar...

"These Important Years" per dirla alla Husker Du...

Grazie Grant, ti vorrò sempre un bene dell'anima!!!

Ad Maiora.

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