Rebecca Coseboom, Ryan Coseboom, e Mikael Eldridge sono gli Halou, band californiana che con questo terzo album datato 2006 ci propone un interessante intruglio di Trip Hop, Elettronica, Glitch, Dream Pop e scintille di Pop Rock che richiamano i fasti dei ben più quotati Portishead, Massive Attack, Laika, Garbage, a cui non hanno nulla da invidiare. Quindi ecco l'ennesima band con l'incantatrice leader femminile che si rifà al Bristol Sound si potrebbe pensare, ma non è cosi, gli Halou si differenziano dalla miriade di prodotti di questo ramo per una buona dose di fantasia, stravaganza, ricerca sonora ed eccelsi tocchi avanguardistici che li rendono se non unici, sicuramente singolari nel loro genere, tant'è che malgrado le influenze Trip Hop largamente constatabili nell'ascolto, loro stessi rifiutano l'affibbiamento di questa etichetta, comunque calzante.

I caldi suoni sintetici, le eleganti parti ritmiche, gli eterei archi e l'approccio sussurrante di Rebecca non porta di fatto nulla di nuovo all'interno di un genere oramai ben delineato e quadrato in cui tutto è stato detto e fatto, ma è con attenti ascolti impegnati che si arriva a percepire il reale valore di questa opera e di questo collettivo che forse poteva e doveva dire di più, ma che ahime, come gran parte dei prodotti di qualità è passato pressochè inosservato. Sin dalla fluttueggiante e distaccante intro "Separation", ove si ci ritrova davanti ad un meraviglioso tessuto in crescendo fatto di archi, delicate note di piano e ritmiche reverse appena appena percettibili, si ci rende conto di essere di fronte ad un lavoro di indubbio spessore, ben stratificato e ricco di svariate influenze (ma occhio che quest'ultimo fattore potrebbe rivelare feedback negativi), l'alone malinconico e grigio che lo pervade si fa sentire abbondantemente in tutte le 14 canzoni, sta all'ascoltatore comprenderlo, farlo suo e non catalogarlo come il solito prodotto mielenso e scontato.

La flebile voce di Rebecca trova terreno fertile nella misteriosa "Tubefed" dove fanno capolinea percussioni glitch, chitarra acustica e suoni industriali che insieme ad un basso pulsante formano un degno start point, l'ottima produzione e le creative elaborazioni/effetti sulla voce contribuiscono non poco a donare un tocco avanguardistico di un qual certo valore. Un morbido arpeggio ci conduce a "Honeythief", brano che ricalca la strada intrapresa dai Portishead con Dummy, Rebecca sussurra ed incanta con la sua dolce voce, uno straordinario beat  da la giusta carica ad un pezzo variopinto che nei ritornelli elettricosi ricorda moltissimo i Garbage dei primi album, impressione che sarà poi confermata in toto sulla rock/elettronica "Stonefruit", tra i pezzi più tirati e solari (malgrado la voce della cantante lasci trapelare sempre un velato malumore) che piacerà di certo a chi come il sottoscritto apprezza Shirley & soci. La (guardacaso come la Manson) rossa vocalist ci riporta ancora ad ispirazioni Garbegiane sulla ballad "Morsecode", se i precedenti pezzi riprendevano infatti gli episodi più tirati di quest'ultimi, "Morsecode" altro non fa che riportarci ai loro brani Trip Hop più soffusi e sperimentali quali "You Look So Fine" o "Milk"; a restituire punti a questo pezzo ci pensano beat iper-manipolati e partizioni industrial che senz'altro costituivano un anello mancante nelle produzioni di Butch, che si incentravano più sul fattore musica e su accordi ricercati. Distorsioni, ritmiche taglienti e percussioni liquide si alternano sulle ottime "Everything Is Ok" e "Your Friends", il cantato ci riporta ad alcuni dischi 90's, non sarà difficile sentirci un pizzico di "Gran Turismo" dei The Cardigans, in questo brano sono difatti impressionanti le similitudini del timbro vocale di Rebecca con la leader svedese di quest'ultimi, dove la talentuosa vocalist lascia i toni deprimenti per optare su un impostazione fresca e sciropposa come quella di Nina.)

Influenze Jazz sulla riposante "The Ratio Of Freckles To Stars", scabrosa e spaziale l'introduzione di "Alaska" che sfocia poi in un arrangiamento Pop Rock venato di elettronica, che con le chitarre elettriche in primo piano ci riporta nuovamente al sound Garbage. Brevi ma intense "Today"  e "Hollow Bones" che vantano un beat stupefacente e martellante, oltre che ancora robusti arrangiamenti elettronici che ritroveremo anche sulla sensuale "I Am Warm", che mettono in luce la grande attitudine elettronica di Ryan, che scopro essere un Reaktor & ProTools dipendente, e in passato già produttore di altri più o meno sfortunati lavori elettro-oriented. Mistica e a tratti orientaleggiante "Things Stay The Same", basata su una triste melodia di piano e sostenuta da archi tremolanti, basso mai come ora esagerato, e da una Coseboom qui particolarmente ispirata, il connubio strumenti reali ed elettronica viene rafforzato ulteriormente in questo episodio che mette in vetrina una grande ecletticità da parte del gruppo, con un chorus dove si esplorano addirittura territori progressive.

Colpisce quindi la grande omogeneità e compattezza di questo lavoro dal mood malinconico e viaggiotico che non potrà non piacere alle anime più sognanti ed emotive, ma che darà senzaltro ottimi spunti anche agli amanti del Trip Hop, e di quell'elettronica dove il denominatore comune sia -sperimentare-, ma perchè no, anche stupire, mixare varie influenze e prenderne in prestito altre da storici dischi del decennio passato: ecco che rientra in ballo il fattore "feedback negativi" anticipato inizialmente, questo citare ad ogni costo (o sarebbe meglio dire clonare) a lungo andare risulta un segno di chiara mancanza di personalità, in alcuni frangenti è infatti fin troppo sbandierata l'ispirazione ai già citati Garbage, Portishead, Massive Attack, e i Cardigans di Gran Turismo. Stesso discorso vale per la cantante, per carità valida e con una deliziosa voce catturante e malleabile a seconda delle situazioni, ma che di fatto solo in rari casi fornisce un approccio singolare e soggettivo alle creazioni di Ryan, preferendo rifarsi alle altre voci femminili di successo facilmente scovabili nelle tracce trattate in questa sede. Tuttavia rimane un prodotto  ben fatto, ben suonato e ben cantato, uno dei pochi punti tecnici a sfavore è la produzione e il conseguente mastering finale, il lavoro risulta infatti fin troppo ovattato ed ultracompresso, di sicuro non aiuta ad un ascolto pulito ed indisturbato.

Riusciranno ad emergere e a dirci qualcosa in più con gli anni che verranno? Si forse, ma urge un rinnovo, una connotazione chiara, un restyling in studio, perchè prendere in prestito ciò che gli altri hanno concepito anni prima va bene, è sempre piacevole e costituisce una certa beneaccolta sensazione di dejavù, ma a lungo andare è chiaro che non è certo un punto positivo per una band comunque VALIDA che vuole emergere. "Wholeness And Separation" è a tratti easylistening, a tratti chiuso e ben inscatolato nel suo genere, a tratti impegnato e sperimentale, con discreti colpi di genio, ma che in un modo o nell'altro si fa adorare e sa toccarti nel profondo dell'anima con le sue atmosfere delicate, i suoi brani intensi, la vellutata voce di Rebecca; la valutazione è un meritato 4, ma potrebbero fare e dare di più, aspettando lavori di maggior carattere, consiglio vivamente l'ascolto del sample.

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