Nuvole basse, cielo ammantato a spessa coltre di bianco cenere che cela il sole per intere stagioni;
e poi infinite lande a perdita d'occhio, letti d'acqua ed austeri massicci eretti su sinuosi tappeti
pigmentati Celadon. Terre testimoni dei fasti di antiche civiltà pagane sono lo scenario delle vicende
descritte dal regista Fridrik Thor Fridriksson in "Börn náttúrunnar" del 1991. Rassegnazione e speranza,
ineluttabili vicissitudini cozzano con l'impeto di mutare lo stato delle cose nella vita delle persone
comuni, nelle vite di Thorgeir e Stella, coppia di anziani ottantenni che nella fredda, iperborea Islanda si
concedono un ultimo intenso sussulto di esistenza. Timide comparse di un mondo semplice, di quel
passato che esecravamo con incoscenza auspicandoci un roseo, gratificante futuro, ed ora ci infligge
un sentimento d'impellente mancanza.

Nello scacchiere della vita, fotografato magistralmente dalla telecamera di Fridriksson, prevale la
determinazione e la tenacia dei personaggi, il fare più che l'essere, un buon motivo che valga l'esistenza.
Anche Hilmarsson ha avuto la sua raison d'etre in quel ormai lontano 1991 nel costruire un incredibile
arazzo acustico sulle suggestive sequenze del lungometraggio in questione, lavoro che gli è valso il premio
come miglior colonna sonora agli European Film Awards. Hilmarsson, figlio della stessa terra di Thorgeir e
Stella, conosce alla perfezione il contesto sociale descritto, il retaggio di usi e costumi legato al paganesimo
che ancor oggi affonda radici profonde nel tessuto culturale delle terre dei discendenti di Naddoddr.
Il neoclassicismo di stampo neofolk del talentuoso compositore, mirabile anche nel precedente
"Island"(1990) con i Current 93, è il sentiero mozzafiato che oscilla e si tiene in equilibrio nelle tristi e
malinconiche tematiche della pellicola.

Struggenti carezze di violino (si alternano Szymon Kuran e Joolie Wood allo strumento) e il supremo cello di
Stefán Örn Arnarson conducono l'inebriato ascoltatore nelle viscere della "Terra dei Ghiacci", nei suoi misteri
profondi e morfologici, ideale rappresentazione sonora del carattere temprato e introverso degli islandesi e
di una terra che plasma i propri abitanti a sua immagine. Il tema dominante che trapela dalle aree musicali è
la solitudine dell'anima, rafforzato dalle straordinarie istantanee dai vasti territori inabitati e battuti dal vento
freddo del nord. Anche l'esiguo numero di dialoghi verte in questa direzione invitando l'ascoltatore/spettatore
a lasciarsi trasportare dalle tracce che accompagnano le scene del film. La tela ricamata da Hilmarsson è da
lasciare senza fiato. Si amalgama e confonde con l'aria greve delle riprese, con gli orizzonti plumbei sulle
radure, con la serietà nuda e drammatica dei soggetti, una naturale e indissolubile propaggine che suona
di posti lontani, di gente comune che nonostante tutto vive, si muove e ama.
Olte gli sguardi cerei.
Oltre i confini dell'anima.
Nell'ancestrale suono della natura.

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