Che dire. A quanto pare, la prima (oppure era la seconda) volta io abbia assistito a una performance live di Howe Gelb e dei Giant Sand, quel giorno in particolare ha segnato la mia esistenza di ascoltare di musica e di musica rock tout-court. Oramai è successo più di dieci anni fa, qui a Napoli, la città dove sono nato e dove vivo ancora oggi dopo aver girato un po' qua e là. La città che lo stesso Howe ha voluto omaggiare con una delle sue più belle canzoni, 'Napoli' appunto, contenuta in quel gran bel disco che poi sarebbe, 'It's All Over The Map', uscito nel 2004 su Thrill Jockey.

Non eravamo in molti in quel piccolo teatro quella sera e nello stesso quartiere dove sono nato e dove vivo e dove nascevano e vivevano i miei genitori prima di me (ci vivono tuttora). Non è un posto così brutto dove vivere in realtà, a dispetto della nomea e dell'aspetto comunque sicuramente decadente e fatiscente di gran parte delle strutture e dei palazzi che lo compongono. Be', è sicuramente un posto che definirei suggestivo e particolare. Molto particolare. Penso che molte persone potrebbero anche non coglierne l'effettivo fascino, ma, be', secondo me se non riesci a coglierlo, allora non hai capito granché di Napoli. Insomma, se vuoi veramente vedere Napoli, devi vedere questi posti e possibilmente riuscire a capirli e 'accettarli' per quello che sono con tutti i loro difetti e le loro limitazioni e infinite complicazioni. Un posto dove vicoli strettissimi si intersecano l'uno con l'altro e dove viviamo tutti quanti uno attaccato all'altro in una maniera quasi disperata. È un posto caotico e caloroso e allo stesso tempo miserabile, quasi patetico, direi persino tragico come potrebbe, come può essere solo un 'classico' (e Howe sa esattamente che cosa intendo). Come uno standard. Ecco.

A quel tempo Howe, poco dopo il disco 'Cover Magazine', aveva rotto con Joe Burns e John Convertino, che avevano deciso di dedicarsi a tempo pieno ai Calexico. Per nulla scottato dall'accaduto, mise in piedi una nuova band in Danimarca (tra questi c'era già anche il bassista Thoger T. Lund, che è praticamente ancora il bassista dei Giant Sand e che suona anche in questo disco solista di Howe) e dove del resto continua a vivere ancora oggi, almeno part-time, dopo aver sposato una donna danese, Sofie Albertsen, che tra le altre cose è anche una eccellente vocalist. Così ecco che senza scoraggiarsi, per l'ennesima volta, riformò i Giant Sand e continuò e continua tutt'oggi a registrare nuovi dischi con la band oppure come solista. Cosa che in un certo senso potrebbe anche non fare nessuna differenza perché del resto i Giant Sand sono sempre stati e saranno sempre una creatura di proprietà solo di Howe. Insomma alla fine a chi cavolo fregava di Joe Burns e John Convertino? A me no. Non me ne importava allora e non me ne frega niente ancora adesso (e mi piacciono i Calexico comunque, eh).

Bene. Quella volta cambiò radicalmente il mio modo di approcciare alla musica e in qualche modo segnò profondamente la mia stessa esistenza. Fu un momento di rinnovamento. Di grossi cambiamenti e non solo per quello che riguarda la musica. In un certo senso forse fu una fase di passaggio inevitabile. Chi lo sa. Forse doveva succedere. Vedete, sono sempre stato un ascoltatore di musica, ma quella volta semplicemente cambia il mio approccio. Insomma, la scuola era finita da un paio d'anni, l'università era andata in puttane e già passavo le mie intere giornate al lavoro. Non avevo più punti di riferimento e mi ero sinceramente rotto le palle di ascoltare sempre la stessa merda con la quale ci avevano bombardato durante quegli anni, il grunge, fottute pop band come i Radiohead. Da quel momento ogni cosa in questo senso fu differente e lo è ancora oggi. Diciamo che forse sono diventato semplicemente curioso. Anzi, ho scoperto di essere curioso. In fondo lo siamo tutti, questo è vero, solo che il punto è che fino ad allora io non lo sapevo. Non sapevo di esserlo.

Perché questo sia successo proprio ad un concerto di Howe Gelb (dei Giant Sand) e non in un momento diverso, non saprei dirlo con esattezza. Potremmo dire che si sia trattato solo di un caso o che, be', insomma, voglio dire, Howe è un grande musicista e allora, perché no? Perché non durante un concerto dei Giant Sand. Ma mi piace immaginare che questo sia accaduto proprio per una caratteristica in particolare, cioè per quella magia e fascino incredibile delle canzoni che scrive Howe. Canzoni che hanno un fascino senza tempo e che aprono innanzi agli occhi degli ascoltatori paesaggi sconfinati e mete lontane, apparentemente irraggiungibili e che lo sono per forza, perché non hanno fine. Sicuramente i Giant Sand e Howe Gelb, quando parliamo di tutto questo, ecco, parliamo di una parte rilevante nella musica rock americana degli ultimi trenta e più anni. Ma a parte questo, parliamo di qualche che ha veramente un senso importante per la città di Tucson, per l'Arizona e per quello che può significare il 'deserto'. Del resto il cosiddetto fottuto 'desert rock' lo ha inventato lui, quella mescolanza tra il vecchio solito fascino del far west, sempre così influente poi nella nostra cultura italiana, e per quegli immaginari remoti e quelle strade polverose senza fine che tagliano gli USA da una parte all'altra. Una dimensione diversa da quella in cui viviamo tutti noi e questo sia in un senso fisico, geografico e strutturale, ma anche, metaforicamente, in un senso spirituale.

Insomma. Nel deserto, idealmente, potremmo dire che non esistono i concetti di spazio e tempo e questa stessa fascinazione è quella che poi Howe Gelb è riuscito a fare propria e trasmettere attraverso la sua musica. Scrive così canzoni senza tempo (ma neppure spazio, voglio dire, del resto 'Future Standards', letteralmente, 'Comincia ad Amsterdam, finisce a New York, e nel mezzo, c'era solo Tucson') ed è anche per questo che può e che ha veramente voluto a tutti i costi scrivere questo disco che poi sarebbe un omaggio ai vecchi standard di gente come Monk, Cohen, Bacharach, Merle Haggard, Chet Backer, Cole Porter, ovviamente Sinistra e persino Django Reinhardt! Un disco che ovviamente ha voluto poi chiamare 'Future Standards' e che uscirà su Fire Records il prossimo 25 novembre. Un titolo che poi potrebbe pure apparire pretenzioso, ma che Howe stesso ha voluto chiarire, presentando invero il disco come un tentativo di scrivere una serie di canzoni e di melodie che idealmente possano durare e in virtù della loro peculiare struttura, essere ricordati come 'standard'.

Di più. Howe ha voluto descrivere proprio minuziosamente quello che sarebbe il processo che lo ha portato alla scrittura delle singole canzoni. Un processo che consiste nel portare a termine tre fasi. 1. Scrivere una sofisticata sequenza di accordi che abbia una propria definizione ben chiara e riconoscibile. Qualche cosa che sia allo stesso tempo coeso e familiare, ma che comunque susciti un certo fascino e un lato inesplorato, sconosciuto, tutto da scoprire. 2. Liriche che siano espressioni di pura gioia. Che siano espressione e rivelazione di amore oppure di quella voglia di ricercarlo e di celebrarlo, che ne lamentino l'assenza, ma allo stesso tempo sempre mostrandosi vulnerabili e desiderosi di nuove ricerche e conoscenze. 3. Una esecuzione che si possa definire in qualche modo 'definita'. Come se si potesse visualizzare proprio visivamente ognuna di queste canzoni come se fossero un vecchio standard. Intime e comuni allo stesso tempo. Condividendole con gli altri, invece di farne qualche cosa di intimo e di prezioso. Disegnare linee melodiche con quella che si potrebbe definire una serenità naturale, che segua in maniera persistente il ritmo della canzone, offrendo una nuova occasione all'amore invece di rinunciarvi, attraverso la risonanza delle sue note.

Infine, quando tutti e tre questi momenti finiscono con il combinarsi in un ritmo e nelle rime di una canzone, semplicemente suonarla e sempre e comunque con la finalità di ricordarci, di confermare con forza, di rassicurarci che, 'Non siamo noi a decidere di innamorarci... È sempre l'amore che ci sceglie.'

Prodotto dallo stesso Howe Gelb e registrato al Fireball Studio di J.B. Meijers a Amsterdam, Olanda; al Rift Studio di Tom Gardner di New York City; al Wavelab Studio di Tucson, Arizona di Chris Schultz; il disco è stato per lo più registrato da quella formazione che oggi si definisce come, 'The Howe Gelb Piano Trio', e composta nella specie da Howe al piano e alla voce, da Thoger Lund al basso e da Andrew Collberg alla batteria. Ma tra uno studio e l'altro si sono alternate diverse guest, del resto parliamo di tre sessioni di registrazione in tre posti diversi del mondo. Particolarmente evidenti e degni di essere menzionati sono i contributi del chitarrista Naim Amor e specialmente quello della vocalist Lonna Kelley, che ha dato un contributo rilevante a rendere 'eterne' queste polverose e evocative melodie e ballate. Questi standard del tempo futuro.

Il resto, come dice Howe Gelb, ha solo a che fare con l'amore. E amare in un certo senso è lo stesso che nascere in un posto. Insomma, potete pure decidere dove vivere le vostre vite, ma non potete in alcun modo decidere dove nascere. E potremmo dire che in questo senso sia il posto a scegliere voi. Chissà. Il mio è questo quartiere, che negli anni dopo la seconda guerra mondiale, veniva sconsigliato come accesso con tanto di cartelli ai militari americani di passaggio qui a causa della presenza di una delle più grandi basi NATO sul Mediterraneo. Ma i soldati americani qui ci venivano comunque alla ricerca di divertimento e di facili trasgressioni, letteralmente violentando fino nel profondo le povere venature consumate di questa città. Lo hanno fatto. Letteralmente. Credetemi. Questa è una parte dolorosa della storia del mondo occidentale e allo stesso tempo in maniera particolare per quello che riguarda la mia città, così antica, quanto nel corso dei secoli infettata da quelli che sono stati occupanti provenienti da tutte le parti del mondo per conquistare e che alla fine sono andati via e ritornati al proprio paese anch'essi in qualche maniera conquistati e infettati, contaminati da quello che si potrebbe definire un vero e proprio virus. Vivere in una grande città è difficile; di più, come accennato, è qualche cosa di tragico, nel senso romantico della parola. È una droga e io sono un drogato. Io so di essere drogato e non penso che le cose cambieranno oggi oppure nel tempo futuro. Così come continuerò a innamorarmi ogni giorno e più volte al giorno e sempre di una donna diversa. Anche questo è uno standard in fondo. Uno 'standard' nel tempo presente ma anche in quello futuro.

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