Potrebbe sembrare a prima vista un’operazione voyeuristica (e forse anche di cattivo gusto) quella di Vita (e morte) di un gentiluomo. Infanzia, gioventù, e ultimi giorni di Howard Phillips Lovecraft, volume che rende disponibile il diario di morte dello scrittore americano. La vita del Solitario di Providence (anche grazie a uno sterminato epistolario che comprende circa 100000 lettere) è una delle più vivisezionate nella storia della letteratura. Di lui sappiamo praticamente tutto e, in questo senso, la biografia Io sono Providence di S.T. Joshi, appena pubblicata dalla Providence Press anche in italiano, ha contribuito a far conoscere in tutte le sue sfaccettature questa personalità fuori dal comune. In realtà siamo di fronte ad un testo molto interessante che ci presenta dei rari documenti sia sulla sua giovinezza sia sulla sua morte. Il diario di morte è crudo nella sua descrizione dei sintomi che lo stavano progressivamente portando alla morte. Il cancro all’intestino fu la conseguenza di un’alimentazione assurda fatta di scatolette per risparmiare il più possibile. In effetti gli scarsi introiti gli derivavano dall’attività di ghost-writer. I 2 saggi di Kenneth W. Faig dedicati ai suoi genitori e ai suoi primi anni sono particolarmente efficaci nel mostrarci il suo retroterra culturale e farci capire la genesi del suo universo cultuale. La morte del padre a causa della sifilide (anche se questa parola ufficialmente non venne mai fuori nella cerchia della sua famiglia) gravò sul piccolo Lovecraft e su sua madre come una sorta di maledizione. Quest’ultima lo tormentava in tutte le maniere possibili facendogli credere di essere talmente brutto da spaventare i suoi coetanei. E non si tratta di leggende: infatti, nello scritto biografico I genitori di Howard Phillips Lovecraft del citato Kenneth W. Faig, possiamo leggere la testimonianza di Clara L. Hess, una ex compagna di classe e vicina di casa di Lovecraft. La Hess dice testualmente che, dopo una visita a Sarah Susann Phillips Lovecraft, non vedeva l’ora di uscire da quella casa. L’aria era viziata e il luogo si prestava, a suo modo di vedere, a scrivere racconti dell’orrore mentre la madre si lamentava in continuazione di quel bambino dall’aspetto orribile. La Hess si rammaricava di come quel ragazzo non potesse avere un’esistenza più sana. Ma forse, se non fosse stato per questo, noi non avremmo avuto “l’Edgar Allan Poe cosmico” (felice definizione di Jacques Bergier). Anche se bisognerebbe sfatare il mito di Lovecraft come quello di una persona disagiata e di un recluso che, anche in età adulta non sapeva, cosa fosse la vita normale. Non era così: indubbiamente ci troviamo di fronte ad una figura particolare (e di levatura superiore) ma in ogni caso si sposò (anche se il matrimonio non andò a buon fine) ed ebbe molti amici. Seppe intrattenere una rete di contatti immensa e rispondeva a tutti con lettere interminabili (attività che gli portava via molto tempo sottraendolo alla stesura dei racconti). La sua morte lasciò nello sconforto legioni di lettori e scrittori come possiamo leggere nei commenti (riportati qui fedelmente) pubblicati postumi sulla rivista Weird Tales dove pubblicò la maggior parte dei suoi racconti. Col tempo Lovecraft è oggi diventato un personaggio di culto entrando nella leggenda. Vita (e morte) di un gentiluomo. Infanzia, gioventù, e ultimi giorni di Howard Phillips Lovecraft è a cura di Pietro Guarriello (attualmente il miglior esperto lovecraftiano in Italia). L’introduzione è di Gianfranco De Turris. Da segnalare inoltre il ricco apparato fotografico.
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