Bob Mould, Grant Hart e Greg Norton, dopo il colpo datato 1984 di "Zen Arcade", sono stati molto ingegnosi nello svolgere il loro percorso. Dimostrando di essere un funambolesco colosso incondizionato, facente parte di un'altra dimensione, ci troviamo cinque album in quattro anni e soltanto i "soliti problemi esistenziali da band" potranno dissolvere la loro inossidabilità. Quello che è presente in "Zen Arcade" è fondamentale, per tutti. Ballate, rabbia hardcore, tributi-parodie ai Sixties e la freschezza nei testi. Sono esistenziali, ma anche spensierati, insicuri e nello stesso tempo dissacranti.

Dopo quel capolavoro si può assaporare la persistenza della freschezza del sound con "The Girl Who Leaves On Heaven Hill" e "Makes No Sens At All", per esempio. Si crea insomma subito l'identità della band, si compone tantissimo e si giunge subito nel 1987.

Abbiamo la fase finale del trio. Mould è il maturo riflessivo, mentre Hart è quello più disteso, avventato e lieto. Le ballate dei due sono connotate di questi corrispettivi stilemi e con "Candy Apple Grey" troviamo soprattutto un maggiore individualismo.

Però mettono sul piatto di sicuro ancora gemme, come la zuccherosità con "Hardly Getting Over It" di Mould e l'allegria di Hart in "Sorry Somehow". Il pezzo da novanta è senza dubbio "Don't Want To Know If You Are Lonely", coverizzata anche dai Green Day, dove l'esplosività del punk, impastato con la verve del pop, è la forza che li isola da ogni paragone.

Con questi tre brani si caratterizza il tramonto del combo statunitense, che con l'ultimo "Warehouse" si accingerà a far calare il sipario, con idee troppo dipendenti dalla scatola sonora che si era creata. Questi camaleonti, con quel vulcano effervescente in "Pink Turns To Blue", non li si dimentica facilmente.

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