C’è così tanta roba in un disco degli Hum da far girare la testa.
E questo a noi piace: la testa che gira e un meraviglioso smarrimento in cui ogni cosa brilla di luce nuova.
Potremmo dire che in questa spedizione il post-hardcore sarà la nostra navicella, lo space-rock la meta, il pianeta ultimo verso cui lanciarsi con fare intrepido, e le ineffabili melodie costruite dai nostri rappresenteranno i cuori di noi viaggiatori, palpitanti di emozioni e aspettative.
Qualcuno che si è addentrato con perizia nei testi piuttosto criptici della band ha spesso considerato il tutto come la narrazione sui generis di un amore – con il suo corredo di intrinseche vicissitudini – ai tempi del viaggio interplanetario.
Possibile. Ma in fondo non c’è nemmeno bisogno dei testi – soavemente cantilenati da Matt Talbott: è gia tutto nel suono. In quel perfetto connubio tra “rumore” e uno squisito gusto pop, come solo i maestri dello shoegaze sanno fare.
Dalle profondità inesplorate del cosmo, a quelle di misteriosi abissi marini, a quelle ancora più incomprensibili dell’animo umano: poca differenza farà dove ci muoviamo, perché ne ricaveremo ugualmente occhi accecati dallo splendore e fiato mozzato.
Dalle imponenti vette chitarristiche che travolgono lo spirito, ai più dolci, malinconici fraseggi che lo consolano.
Per i veri amanti dell’avventura – molto più che semplicemente musicale.
E non sia mai che dimentichiate il precedente e altrettanto straordinario You’d Prefer An Astronaut.
Buon viaggio.
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