Per chi ama il prog o semplicemente la grande musica Ys del Balletto di Bronzo evoca ricordi mitici e mitologici. Si tratta di un album di culto che tutto il mondo ci invidia. All’estero è considerato un classico senza tempo ed è forse più amato che in Italia dove, quando si parla di prog, spesso qualcuno storce il naso. Nella mia classifica degli album prog che ho più amato lo metto alla pari di Zarathustra del Museo Rosenbach. È un peccato che il gruppo si sciolse dopo questo capolavoro (senza dimenticare comunque Sirio 2222 dove però non c’era Gianni Leone). Ma i dissidi fra Gianni Leone (grande tastierista) e il batterista Giancarlo Ajello furono insanabili. Ora, dopo un’attesa lunga ben 51 anni, abbiamo infine (esclusi alcuni live) il nuovo disco del Balletto di Bronzo intitolato Lemures. Devo essere sincero: spesso le nuove incarnazioni di gruppi leggendari come questo mi lasciano qualche perplessità. È infatti difficile ricreare la magia dei tempi andati e gli esempi in questo senso non mancano. Tuttavia devo ammettere che Gianni Leone (qui coadiuvato dai bravi Ivano Spilli alla batteria e Riccardo Salvatori al basso) ha fatto centro. Dico subito, per fugare subito i dubbi, che non siamo di fronte al nuovo Ys. Ma d’altronde non avrebbe avuto senso pubblicare nel 2023 un disco che suonasse come nel 1972. I tempo sono cambiati e comunque (penso a La Maschera di Cera) chi cercasse operazioni nostalgiche non faticherebbe a trovarne. Lemures si pone a metà strada: da una parte viene rievocato l’antico spirito del Balletto e, in alcuni momenti, come nella seconda traccia “Oceani sconosciuti”, corre un brivido dietro la schiena. Dall’altra il suono è proiettato nel futuro. L’intro “Incubo Succubo” ci introduce in questo viaggio ai confini del tempo e dello spazio. Nello strumentale “Napoli sotterranea” troviamo dei vocalizzi inquietanti (quasi alla Magma) mentre la musica è sorretta da un bel basso pulsante, da una batteria nervosa e dalle tastiere di Leone onnipresenti. “L’ombra degli dei” ha una bella parte iniziale vocale poi le atmosfere diventano cangianti e misteriose. “Labyrinthus” è un altro strumentale di buon livello con ancora vocalizzi efficaci e una seconda parte in cui l’interplay fra i musicisti è perfetto. “Deliquio viola” ha un approccio duro (come gran parte di questo disco) ed è molto onirica. Infine la conclusiva “Il vento” chiude in maniera degna Lemures che, al di là di quello che i citati nostalgici possono pensare, non è un brutto album. L’attesa è stata lunga (speriamo di non dover attendere altri 51 anni!) ma il prodotto finale non ha deluso le aspettative. Disponibile sul sito della Black Widow: www.blackwidow.it.
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