Il rock argentino ha sempre destato su di me un certo fascino, per la sua innata capacità di avere una sua identità, nonostante sia abbastanza evidente il fatto che prenda spunto dal progressive britannico: ne sono un chiaro esempio, infatti, gruppi quali Sui Generis, autori di Pequenas Anecdotas Sobre Las Istituciones, per certi versi il Close To The Edge del rock argentino (ascoltare per credere), e i Crucis, capaci di costruire con le loro tastiere delle impalcature sulle quali costruire delle monumentali opere musicali, quali Los Delirios Del Mariscal.

Però, su tutti, la personalità predominante di questa scena è proprio lui, Luis Alberto Spinetta, una delle personalità più carismatiche, geniali ed esuberanti della storia del rock (no, non sto esagerando), cresciuto a pane e Beatles, fu leader di ben 3 band fondamentali per il rock argentino, Almendra (che altro non sarebbero che i Beatles Argentini, contaminati da evidenti elementi folk del loro paese), Pescado Rabioso (gruppo veramente interessantissimo, dove irrompe per davvero il genio di Spinetta, grazie ad album straordinari quali "Artaud", che mescolano senza tanta pretenziosità folk, jazz e blues, conferendo al rock argentino un eleganza che ancora mancava all'epoca) e Invisible, la più grande rock band argentina di tutti i tempi, un trio, che non teme timori con grandi nomi quali Rush, e che farebbe tranquillamente il culo a gruppi eccessivamente sopravvalutati quali Emerson, Lake And Palmer. Incide due album sensazionali, in chiave jazz rock, per poi lasciare a noi comuni mortali questa meraviglia che in breve recensirò, "El Jardìn De Los Presentes", il più grande disco della storia dell'argentina, il massimo picco raggiunto dal "Flaco", e, paradossalmente, l'album che causòlo scioglimento del gruppo.

Infatti, Spinetta, durante l'ideazione del suo massimo capolavoro, conobbe Tomas Gubitsch, chitarrista giovanissimo dotato di un talento più unico che raro, che gli trasmette la passione per il tango. Purtroppo, la figura di Gubitsch divenendo predominante, sarà la causa della fine dell'avventura degli Invisible e, paradossalmente sarà la carta vincente per Spinetta per incidere il suo massimo affresco.

El Jardin De Los Presentes parte con un brano sontuoso, "spaziale", dall'andamento quasi sognante, che tratta di argomenti fantascientifici, una musica che si contorce e si dilata, senza pietà, canzone dove Spinetta dimostra grandissime abilità vocali, tra tonalità pacate e altre più "aggressive". Tale brano, "El Anillo De Capitan Beto" è senza troppi dubbi uno di migliori inizi possibili per un album. "Los Libros De La Buena Memoria", invece, è una ballata, la definirei come la"I Talk To The Wind" argentina, dotata però di un'atmosfera quasi nostalgica, nei confronti di un passato che sembra quasi dimenticato, attraverso sonorità meravigliose in bilico tra jazz e flamenco.

"Alarma Entre Los Angeles" invece è la materializzazione musicale di un balletto di tango. Che dire signori, tenetevi forte, sedetevi, chiudete gli occhi, e gocetevi lo show di Gubitsch, il 18enne fenomeno delle sei corde, che esplora territori incontaminati, prima sinuosi, poi aggressivi, poi romantici, poi malinconici, dimostando a tutti di che stoffa è fatto. Il tutto in sei minuti. Poveri i rockers che ancora credono che Slash sia un buon chitarrista, lasciamoli sguazzare nel loro mondo fatato... io mi godo il mio... "Que Ves El Cielo" ritorna subito verso sonorità più pacate, più rilassate, grazie ai superbi arpeggi di chitarra acustica e grazie alla leggiadra voce di Spinetta.

"Ruido De Magia" invece presenta delle tonolità più "lanciate", grazie a quella meravigliosa chitarra elettrica che sembra simulare un sax, mentre la voce di Spinetta si fa più "sensuale", il ritmo si fa quasi più "pesante", per poi attutirsi ogni tanto grazie a quei meravigliosi arpeggi di chitarra flamenco. Semplicemente l'equilibrio perfetto. "Doscientos Años" sembra essere l'ennesima ballata del disco, ma in realtà presenta dei ritmi ibridi, capaci per l'ennesima volta di demolire ogni certezza, mentre Spinetta cerca di sconfiggere il tempo, la voce di Spinetta, con un canto ingenuo, soffice quanto liberatorio, corre insieme alla chitarra, con la stessa innocenza con la quale noi, da bambini, ci inseguivamo con i nostri amici, negli sconfinati prati di campagnia, ignari del fatto che il tempo passa per tutti noi... esperienza che purtroppo da bambino non ho mai provato sul serio, a causa della mia timidezza... forse è per quello che mi commuovo mentre ascolto questo brano...

"Niño Condenado" presenta un'atmosfera trascinante, quasi capace di muovere l'ascoltatore verso nuove rotte inesplorate, e incontaminate, grazie ad arpeggi di acustica e di elettrica che sembrano ricostruire una nuova atmosfera rilassante, ma il tutto viene interrotto dalla magistrale prova vocale del Flaco, che interrompe bruscamente la quiete musicale, con un cantato aggressivo, drammatico, poetico, l'atmosfera è completamente rarefatta, nulla è come prima, e a concludere il capolavoro del disco è quella meraviglia di assolo di chitarra finale, che sembra spazzare via ogni certezza su ciò che potrebbe succedere durante l'ascolto, così come nella vita.... PERDONADOOOOOO, PERDONADOOOOO.... SONTUOSO...

A concludere questo monumentale capolavoro è "Las Golondrinas De Plaza De Mayo", il brano conclusivo, capace, grazie al sontuoso lavoro del basso, di dare all'ascoltatore, quella serenità che nella vita cerca, grazie alla già troppo elogiata voce di Spinetta. Le tastiere sognanti del brano condiscono il tutto. Un canto liberatorio che conduce alla fine di quello che è e che rimarrà uno dei miei dischi preferiti della scena "underground", meglio di buona parte del progressive rock degli anni '70, capace di muovere senza la necessità di virtuosismi pacchiani stile Emerson Lake And Palmer, capace di far muovere come una pedina l'ascoltatore in atmosfere uniche e rare, miscelando alla perfezione jazz, blues, folk, flamenco e conferendo al tutto una tinta "tango", quasi "ballerina". In un'epoca segnata dall'inaugurazione del regime di Videla del 1976, Spinetta regalò un capolavoro al suo popolo, nonostante le censure che seguirono a causa dei testi anti regime. Spinetta non mollò mai, espresse la sua arte, ed entrò di diritto nell'Olimpo.

Riposa in pace, Flaco (1950-2012)

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