Il mio buon amico Paolo, milanista esperto di Football Manager ed ottimo intenditore in materia pedatoria, garantisce che Andre Silva “… fidati, è un crack”.

Da subito trovai questa affermazione un tantino azzardata, tanto che dopo aver nebulizzato il caffè che stavo sorseggiando con lui fui preda di moto di risa convulsivo.

Il nostro livello di confidenza, tale da imprimere sul suo divano il calco dei miei dorati glutei (la walk of fame del vero tifoso) a seguito delle innumerevoli partite guardate assieme, consentì poi di spingermi al prolungato dileggio e alla giustificata mancanza di rispetto.

La querelle si risolse ponendo una scadenza alla spericolata previsione del Guru (come Egli sobriamente si autoproclama), se entro 5 anni quella mezza sega non si attesterà sui livelli di Messi o CR7, evento probabile quanto incontrare Mario Draghi ad un rave party, dovrà pronunciare le fatidiche due parole “HAI RAGIONE”, per lui ostiche da propagare quanto lo sarebbero per Fonzie.

Ora … di anni ne sono passati tre, nella migliore delle ipotesi ci ricorderemo di lui come di un buon attaccante dalle medie realizzative portoghesi, più bello a vedersi che efficace.

L’ostinazione non sempre è una virtù.

Ma vi starete chiedendo perchècazzo vi stia raccontando tutto ciò.

Perché sto parlando dell’esordio degli Irist, e preparatevi a nebulizzare sui vostri monitor qualsiasi cosa, ma come certa stampa specializzata sono anch’io convinto che in ambito medal saranno a breve “un crack”.

Anche se nessuno se li è cacati di pezza nonostante i ripetuti ascolti già postati, segno inequivocabile del regresso del sito verso invertebrate mollezze, ma ci penso io ad inturgidire i vostri canuti peli pubici.

Gli indizi ci sono tutti, questo quintetto di Atlanta dedito allo sludge / metalcore, come tradizione Georgiana impone (Baroness, Kylesa, Mastodon, Black Tusk docet), contamina sapientemente le furiose schegge sonore di elementi colti e variegati.

Compresse bordate acustiche scagliate a velocità scandalose e sorrette da una sessione ritmica brutale vengono abilmente cesellate da decompressioni e decelerazioni.

La produzione molto (per i più intransigenti troppo) pulita Nuclear Blast contribuisce a rendere il tutto maggiormente fruibile anche per i meno avvezzi.

Una certa attitudine alla melodia sottotraccia rende meno urticante il mid growl del cantato, anche questo alternato a momenti clean.

Certo i riferimenti estetici sono evidenti, i primi Mastodon, Gojira forse anche Dillinger Escape Plan.
Addirittura imbarazzanti i punti di contatto con gli ultimi Converge, praticamente identico il riff che parte al trentasettesimo secondo in “Insurrection” a quello di “Reptilian” (1.54), provare per credere.

Consideriamolo un tributo, poi però parte la clamorosamente bella “Harvester” che inizia come un pezzo dei Katatonia e finisce trascinandoti in un vortice forsennato di matrice High on Fire. Per nulla banale.

Insomma, se non siamo innanzi ad un totem di originalità assoluta certamente si può parlare di un prodotto ben confezionato ed insolito per i canoni del genere, estremamente godibile pur nella sua carica primordiale.

Quindi appuntamento tra cinque anni, quando potrete tranquillamente percularmi per le mie sopraffine competenze divinatorie.

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