C'è una donna corpulenta sdraiata sul terreno, maglia dei Maiden, che fuma estaticamente e si rilassa nel caldo pomeriggio, in attesa delle 21. Un'altra, a pochi passi, mostra la schiena tutta tatuata con il volto spaventoso di Eddie. Ogni maglietta racconta una storia: Gods of Metal 1998, tour del 1988, del 2010, del 2018. Ci sono evidentemente molti padri con i loro figli, come se questa musica fosse un verbo da tramandare, una tradizione ineludibile.
Perché la gente al concerto degli Iron sembra comunicare soprattutto un fatto, stando all'infinita varietà di maglie, di tatuaggi, e anche all'enfasi del momento che traspare dai loro atteggiamenti: le canzoni che stiamo per ascoltare non sono solo un passatempo, un sottofondo. Sono un'identità, qualcosa che ha plasmato in parte la vita e l'immaginario di chi oggi sfida la tremenda calura di Milano per ascoltarle dal vivo. Non è un caso che questa identità sia messa quasi come una bandiera, sui vestiti e sulla pelle, perché tutti qui ne sono orgogliosi, come una tribù di normanni che rivendica la sua forza, la costanza e la pervicacia nel seguire e diffondere quel verbo. Se nel 2023 sono ancora qui con tutto questo entusiasmo a suonare per due ore, alla sciamannata, significa che le emozioni e i pensieri investiti su questa band nei decenni erano ben riposti.
Due dischi in primo piano, e non tra i miei preferiti, ma lo show comunque funziona perfettamente. L'ultimo “Senjutsu” e “Somewhere in Time”, oltre a qualche classico immancabile come “Can I Play With Madness”, “The Trooper”, “Fear of the Dark”, “Iron Maiden”. Certo, ne mancano tantissimi altri, ma non me la sento di criticarli, dopo oltre quarant'anni di tour ci sta di voler cambiare.
Suonano da dio, non c'è molto da aggiungere. Bruce è mattatore assoluto con tanti discorsi introduttivi tra una canzone e l'altra, qualche battuta (“E se la DeLorean fosse una Fiat?”), grida e salti. Una sensazione di trovarsi davanti a un gruppo di ragazzini di 65-70 anni, che giocano e si divertono a fare anche i cazzoni con i pupazzi giganti travestiti da Eddie.
L'occasione è buona per riscoprire pezzi come “Caught Somewhere in Time” e “Alexander the Great”. Dell'ultimo disco spiccano soprattutto “Hell on Earth” e “The Writing on the Wall”. Spiace solo che alcuni brani non imprescindibili dell'album più recente avrebbero potuto lasciare spazio a bombe come “Powerslave” e “Seventh Son” che personalmente non ho mai sentito dal vivo. Poco male. Up the Irons!
Una nota a margine. Prato 106 euro, magliette 45 euro, birre 8. Caldo disumano e una cornice che non aiuta, pochissima ombra e neanche un getto d'acqua. L'invasione delle zanzare verso sera e, ciliegina sulla torna, gli Stratovarius arrivati in ritardo che suonano solo due pezzi. Hanno perso il volo, bla bla, non è la fine del mondo, ma il tizio che esce sul palco a farci quasi la predica perché serpeggiava del malumore... anche no.
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