Li aspettavamo al varco dopo "Silent ruins", lavoro di mestiere che non aveva lasciato nulla di particolare nella loro carriera, anche perchè veniva dopo il loro masterpiece riconosciuto "Bliss of solitude". Questi quattro svedesi sembravano essersi adagiati sul favore della critica perchè BOS era stato un fulmine a ciel sereno: uno di quei dischi di doom classico che sbocciano senza aspettative ma che si rivelano straordinari per la capacità di "evocazione" che possiedono.
C'era quindi un misto di curiosità e "paura" in "Born from shadows", l'ultima fatica degli svedesi, che ha visto la luce nell'ottobre dello scorso 2011. Già la copertina mostrava i segni di un possibile incupimento e il sound del cd lo conferma appieno: con questo nuovo album gli Isole si sono indirizzati verso un doom dai tratti più epici e marcati, dove le architetture decadentiste dei lavori precendenti (tutti quelli che vengono prima di "Silent ruins"), sono ormai soltanto un ricordo. Sia chiaro: non siamo di fronte ai Doomsword come qualcuno ha erroneamente detto, ma lo sterzo ha virato verso un sound molto più corposo e denso, tanto che fa capolino più di qualche volta il growl (convincente) del bassista Henrik "Henka" Lindenmo. Ad affiancare un songwriting rivisto in chiave più aggressiva, c'è anche la solita buona dose di esistenzialismo e pessimismo che la band scandinava ha sempre esposto fin dagli esordi.
In questa atmosfera tenebrosa e penetrante che gli Isole mettono su (grazie anche ad un'ottima registrazione), spicca la voce di Daniel Bryntse, perfetta per un genere dove serve l'espressività. E' lui che prende in mano la band fin dall'opener "The lake" piazzata all'inizio a spazzar via ogni dubbio: la proposta è mutata e probabilmente con il passare degli anni continuerà a cambiare ma la classe e lo stile rimangono. I cambiamenti umorali di questa song ce lo confermano: si passa da un intro glaciale, al growl, a smorzate inaspettate e pregne di pathos decadente. "Black hours" e la lunga "Born from shadows" ci riportano un po' indietro nel tempo a "Silent ruins" per quella loro andatura priva di particolari spunti che si risolve in un nulla di fatto. Da segnalare però lo stacco chiaramente opethiano a metà della titletrack, che ci evidenzia come la band di Akerfeldt e soci sia una delle muse ispiratrici del combo.
Il disco si evidenzia per un sound denso come mai lo era stato nella loro carriera e la pregnanza metallica di "Come to me" evidenzia la loro "nuova" rotta: un thrash/doom di assoluta efficacia, reso di ottima qualità dagli interpreti. Tutto è ben costruito tanto che alcuni hanno parlato di manierismo, ma "My angel" e "Condemned" ci dimostrano come la carica emotiva che aveva caratterizzato cd come "Throne of void" e "Bliss of solitude" sia ancora presente, con la sua carica affascinante di malinconia velata da una sofferenza di fondo che rimane comunque percepibile.
"Born from shadows" è l'opera di una band matura, che ha capito quale sia la formula giusta per esprimere questo momento della carriera. Un indurimento sonoro che si era percepito e che con questa nuova fatica diventa reale ma anche congeniale alle emozioni che il gruppo di Gavle riesce ad esprimere. Un doom metal dalle molteplici sfaccettature, dove ogni riff è allo stesso tempo carico di pessimismo e negatività ma anche di un senso di ribellione verso le cose del mondo. Insomma: ben tornati!
1. "The Lake" (7:11)
2. "Black Hours" (7:08)
3. "Born From Shadows" (9:25)
4. "Come To Me" (6:47)
5. "My Angel" (10:31)
6. "Condemned" (8:48)
7. "When All Is Black" (5:22)
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