"Rides Again" è il secondo album della James Gang, un trio statunitense che, a cavallo fra la fine dei sessanta e i primi settanta, tenne validamente testa, insieme a Mountain, Grand Funk e qualcun altro, allo strapotere inglese nell'ambito del nascente hard rock (Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath e compagnia bella).
Però James Gang non significa solamente chitarre distorte ed urla penetranti: nella eterogenea scaletta di nove canzoni che costituisce quest'opera trovano posto una ballata condotta dall'organo, un episodio acustico con orchestra, un blues acustico, un country rock con doverosa steel guitar, uno strumentale e addirittura una suite.
Tra le canzoni propriamente rock spicca l'apertura "Funk #49", nella quale il chitarrista Joe Walsh sperimenta la sua versione di funky distorto, mentre il batterista Jim Fox aggiunge sonore percussioni per rendere a sua volta un'atmosfera gaia e danzereccia. Il rano è assai famoso, almeno negli Stati Uniti, e fece faville come singolo.
Il secondo ed ultimo episodio propriamente rock si intitola "Woman" ed è un up-tempo tutto in levare, di ordinaria amministrazione con il canto grintoso di Walsh, il suo doveroso assolo di chitarra e poco altro.
La splendida suite (rock) "The Bomber" ha una storia particolare: nella sua parte centrale contiene una breve rivisitazione del "Bolero" del musicista classico Ravel, i cui eredi a suo tempo non trovarono di meglio che citare il gruppo in tribunale per uso non autorizzato della musica dell'illustre avo. Cosicché si dovette editare la traccia, rimuovendovi la parte a Bolero ed accorciandola così di un paio di minuti scarsi. Al giorno d'oggi ci si può imbattere in entrambe le versioni della suite, che è facile distinguerle dai sottotitoli: quella col Bolero ne ha tre, quell'altra editata solo due e cioè "Closet Queen" ovvero l'hard rock iniziale e finale in stile Who e "Cast Your Fate To the Wind" che ne è il lungo inserto centrale strumentale, con le note lunghe e sapienti di slide guitar, strascicate e cariche d'eco. Una notevole versione di questa perla della James Gang la si può gustare anche sull'album solista del 1994 del chitarrista dei Toto Steve Lukather, intitolato "Candyman".
Nello strumentale, breve e di poche pretese "Asshton Park" Walsh si diverte con uno smaccato eco ribattuto applicato al suono del suo strumento, suonato in stile stoppato e staccato.
"Tend My Garden" è l'episodio che vede Walsh mettere in secondo piano la chitarra elettrica in favore di un rigoglioso organo Hammond. La ballata scorre pregnante e commossa, dominata dal magnifico strumento a doppia tastiera, il quale anche maneggiato da un chitarrista e quindi non da virtuoso, fa sempre la sua grande figura.
Il finale dell'album è tutto acustico, con un terzetto di tranquille canzoni la prima delle quali "Garden Gate" è il blues acustico, suonato col dobro, una chitarra con la cassa metallica capace di timbri particolarmente attraenti.
"Thanks" invece è puro country rock, con ospite alla pedal steel guitar uno dei suoi luminari, Rusty Young dei Poco.
Il pretenzioso numero finale "Ashes The Rain And I" vede sia Walsh che il bassista Dale Peters alle chitarre acustiche, accompagnati da un'intera, pomposa orchestra che sabota alquanto la faccenda, di per sé già abbastanza accorata e dal sapore retorico.
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