E' regola comune che il secondo album, soprattutto se successivo a un debutto stupefacente, sia per l'autore molto difficile sia a livello emotivo che musicale. C'è sempre il rischio di riproporre le stesse idee, magari condite con altre salse, o di virare verso altri lidi, lasciando basiti i fan. Da "The Idiots Are Winning" del 2006 son passati più di sette anni, un lunghissimo periodo per far decantare la popolarità di James Holden e per sfornare un album "The Inheritors" che ben poco ha da invidiare al debutto, sospeso tra minimal-techno e elettronica-indie. Il 34enne britannico è un genio oramai maturo, è un personaggio da urlo nel mondo dance (mirabili le sue selezioni "At The Controls" e "Dj-Kicks"), è uno dei pochi che può permettersi di fare quel cazzo che gli pare. E lo fa benissimo. "The Inheritors" si traveste di sporca e rozza elettronica, sviluppa faticosi andamenti marziali ("Rannoch Dawn", "The Caterpillar's Intervention"), ritorna agli albori krauti e spaziali dei Cluster e dei Kraftwerk ("Renata", "The Illuminations", "Seven Stars", "The Inheritors", "Circle Of Fifth", "Some Respite"). A condire e a illuminare i 15 pezzi ci pensano le trombe jazzate di "The Caterpillar's Intervention", le tastiere in crescendo di "Delabole", gli interludes spaziali di "Inter-City 125", il "rumorismo" di vecchi pc anni ‘70 di "Gone Feral" e i meravigliosi organi per cerimonie funebri marziane di "Sky Burial".

Album grandioso e imprescindibile anche per chi non mastica elettronica, per chi cerca nella musica una qualche forma di alienazione/straniamento, per tutti quelli che sono alla ricerca di una certa psichedelia "extra-chitarristica", per chi adora il filone elettro-krauto.

Da ascoltare.

Carico i commenti...  con calma