Qual è il farmaco che più di tutti vi crea stati di ubriachezza neurologica? Io non tollero il nimesulide, specialmente l'Aulin. Comincio a vaneggiare e a vedere le porte sciolte come un quadro di Dalì. Per non parlare dello Zitromax: dopo un quarto d'ora sento le voci attorno riverberate e ovattate, un po' come il piccolo Danny quando capta la voce di papà Shining ormai prossimo alla corsa all'accetta.
In questi giorni sto assumendo l'Augmentin, per parare infezioni da estrazione dentale. È stata la prima esperienza con questo farmaco e, tutto sommato, è andata anche bene.
Al secondo giorno certi sbadigli sereni che manco quando mi hanno imbottito di Valium. Il giorno dell'estrazione (un dente del giudizio, per chi fosse interessato), è arrivato anche “Toon Time Raw!” di Jerry Paper.
Un vinile preso quasi a scatola chiusa: mi era piaciuta da matti la copertina e spesso i grandi capolavori li scopri anche così. Sia chiaro, non è questo il caso del gran capolavoro, ma la storia di tal Paper mi aveva affascinato. Lui sembra un nerd della Silicon Valley che non è riuscito a indovinare la startup della vita e adesso orbita a un passo dai ghetti della metropoli californinana, pronto ad assumere qualche droga dal nome esotico che ti fa cadere pezzi di pelle.
In realtà leggo che Jerry Paper è uno studioso di religioni e in quell'area lì, recentemente, è andata molto di moda 'sta cosa delle sette religiose, soprattutto tra i vip.
Lì, nella L.A. Area, funziona così: un anno vai di sette religiose, quello dopo di vodka e Vicodin, un altro ancora va di moda farsi ritoccare male le labbra o gli zigomi. Sottolineo male: sei sul pezzo se giri tronfio a Beverly Hills con le labbra a canotto storte.
In ogni modo, ciò che mi aspettavo dall'Augmentin e da tutti 'sti farmaci per sedare batteri, alla fine, è arrivato dall'ascolto di questo album: un bel trattato sonoro di sfigaggine musicale, forse un po' studiato a tavolino, tanto quanto l'immagine di Paper che gira per strada con il giubbino jeans anni Ottanta con l'imbottitura di lana bianca (io avevo quello Uniform e ancora oggi non ci dormo la notte).
Se bastasse il giubbino Uniform abbinato a un foulard eccentrico, un paio di Lozza anni Ottanta al naso e una bella copertina, vi riporterei volentieri tutti i “rimandi” letti finora in merito a questo musicista e alla sua opera (da Kevin Ayers a Captain Beefheart). Io c'avrei messo dentro pure i Residents che quelli fungono da battipanni liberi tutti.
In realtà non mi sento di scomodare nessuno: du giri di flanger sulla voce non fanno psichedelia. Conciarsi come il cugino di Napoleon Dynamite non fa “outsider”.
Credo che questo album sia la somma di inquietanti dosi di antidepressivi e rimedi farmacologi per il disturbo bipolare della personalità che il giovane e mistico Paper avrà assunto arrivato allo studio delle sante flagellanti tipo Santa Veronica Giuliani.
Il risultato è – manco a dirlo – altalenante: triste e allegro, a fuoco e fuori fuoco, manca giusto la traccia dove lui parla di sé in terza persona.
Fatto sta che a un certo punto mi è venuto lo stimolo di vomitare e non saprò mai se è stata colpa dell'Augmentin o di questo strambo incubo biascicato a ritmo ora di sambetta da aperitivo, poi triste e circense, e poi ancora romantico e introspettivo.
“Life's a big joke” dice lui in Shouldn't you be laughing? E quel non so che di perculaggio un po' mi arriva ma ci sta anche.
In questa primavera augmentiana, mi sembra il disco più giusto da ascoltare mentre sputo dalla bocca il tampone insanguinato.
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