A qualcuno piacciono le grandi scene di gruppo, a qualcuno i bozzetti. C'è chi ama Guernica e chi ama la monna Lisa, chi, di Raffaello, ama le stanze affrescate, chi ama i ritratti.
Ecco, Coffee and cigarettes è un film che può piacere ai secondi di ciascuna di queste coppie. Questo film è una raccolta di bozzetti o cortometraggi, come si suol dire, che Jim Jarmusch girò in momenti diversi dal 1986 e il 2003, data di uscita nelle sale, vincendo nel fratempo premi a Cannes e nei festival sparsi qua e là nel globo terracqueo.
E io, proprio nel 2003, vidi questo film in una sala di Cagliari di cui ho già parlato qui (Kitchen Stories - Bent Hamer - recensione (debaser.it), in quel medesimo periodo della mia vita. Questo film faceva parte delle pellicole di una rassegna di film premiati nei vari festival cinematografici internazionali. Film che raramente trovavano spazio nei vari cinema multisala della penisola italiana e isole annesse. Mi piacque abbastanza, cosicché in questi giorni ho deciso di rivederlo.
Eccone le mie impressioni:
E se togliessimo l'azione da un film, cosa rimarrebbe?
Sì, perché la trama di Coffee and cigarettes non esiste. Semplicemente c’è una camera che osserva dei personaggi dello spettacolo intrattenersi intorno a un tavolino, bevendo tanto caffé e fumando tante sigarette.Tutto qui.
Cosa rimane quindi?
Le immagini (rigorosamente in bianco e nero), la musica, le parole (spesso) sconnesse e le pause.
Le pause, quelle odiate pause eliminate da quasi tutte le narrazioni. Vi è mai capitato di chiedervi, leggendo un libro o osservando un film, quanto fossero delicati e eccezionali, coerenti e razionali, i dialoghi che vi trovavate davanti? Credendo a quel che vi veniva mostrato, "a che bel pensiero, quanto sono interessanti, arguti, sottili, profonde le loro menti, quanto è agile la loro parola", il vostro animo, il vostro spirito, lampeggiava di luce riflessa.
Ma la realtà non è questa.
La (mia) realtà è fatta di inazione, di pensieri appena abbozzati, di dialoghi inconcludenti, di rifugio nel cazzeggio, di silenzi. (Tra parentesi, quanto ci manca quell’inazione, ora che portiamo una protesi elettronica attaccata alla nostra mano?)
La (mia) realtà è più simile a questo film.
I (famosi) silenzi che mettono in imbarazzo, quelli di Mia Wallace e Vincent Vega, eccoli lì, sulla scena; ma anche i silenzi che provengono dalle parole che mettono in imbarazzo... Intorno al tavolo osserviamo: Benigni e Steven Wright dare vita a un dialogo surreale intorno al caffè, dialogo che sfocia in un repentino cambio di ruoli e si conclude in uno scambio di appuntamenti che vede Benigni recarsi dal dentista al posto di Steven (“Che culo!”, commenta Roberto). Vediamo due gemelli e un cameriere (Steve Buscemi) parlare a Memphis di Elvis Presley in un racconto che ondeggia tra il mito e la storia. Vediamo Iggy e Tom Waits argomentare sulla libertà di fumarsi una sigaretta una volta che un uomo ha perso il vizio e giocare con la loro carriera tra vanità e invidia: alla fine nessun brano dei due ha spazio tra i dischi del Juke Box. Vediamo l’’invidia intercorrere tra Cate Blanchett e la cugina mascherata da convenevoli e buone maniere. E poi vediamo Jack e Meg dei White Stripes, alcuni membri del Wu-tang Clan e altri colmare i vuoti silenzi di ogni relazione dialogando sui feticci della società di fine millennio: il caffè e le sigarette.
Come nel dialogo tra Iggy e Tom:
“Facci caso, noi siamo la generazione caffè e sigarette, se ci pensi bene. Invece quella degli anni ‘40 era la generazione torta e caffè”
“Come Gianni e Pinotto, quelli della televisione, volevano sempre torta e caffè quei due.”
“Sì, sì, come Gianni e Pinotto, ordinavano sempre torta e caffè, ti ricordi:”Su! Prendi un caffè, mangia una fetta di torta! Non fare complimenti!”"
SILENZIO
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