Nel 2007 nelle playlist dei giornali musicali anglosassoni il songwriter americano Joe Henry risultò essere uno dei grandi esclusi. Eppure, come già il suo precedente lavoro, "Tiny Voices" (2003), il primo pubblicato con l'Anti dopo il lungo sodalizio con la label Mammoth, si trattava di un'opera davvero riuscita; certamente meno sperimentale e aperta ad influenze di quella, più nel solco dell'aurea tradizione cantautorale americana, ma sicuramente poetica e caratterizzata da un magnifico spleen al quale era quasi impossibile sottrarsi.
Joe, persona molto schiva e riservata (neanche il matrimonio con una sorella Ciccone ha accesso i riflettori su di lui) nonostante una più che ventennale carriera, ha anche prodotto alcuni artisti molto noti come Any Di Franco, Aimee Mann e Elvis Costello, non è però ancora considerato un "grande", uno dei nomi imprescindibili dell'american popular music, pur avendone, dal mio punto di vista, tutti i titoli. Egli non è certamente un pattern, un modello, un capostipite alla Tom Waits o alla Bob Dylan, ma, attingendo anche da "mostri sacri" come loro, pescando nelle roots americane, nel folk, nel country-blues, scrivendo testi suggestivi e poetici, si è ritagliato uno spazio di rilievo nel vasto panorama della musica d'autore d'oltreoceano. E' riuscito a crearsi un suo stile originale pur servendosi di "materiali" musicali tanto noti quanto nobili e di una voce che non si dimentica.
"Civilians" è un album volutamente, più che fuori moda, al di là delle tendenze, che si guadagna senza fatica lo statuto di piccolo classico. Non ci sono "strizzate d'occhio", né concessioni ad un mercato ormai peraltro senza bussola. Solo storie raccontante e musicate in modo diretto, essenziale, mai dimesso però, che hanno il pregio di coinvolgerti e proiettarti nel mondo bittersweet di Joe. Tra i dodici brani è davvero difficile scegliere, essendo tutte composizioni notevoli. Citerei su tutte la title track, brano di impostazione waitsiana, senza eccessi rumoristici ed etilici, però ("Oh, pray for you, pray for me. Sing it like a song - Life is sort but, by the grace of God, This night is long..."); o anche l'amara, politica "Civil War" ; senza dimenticare la dolente, dylaniana, non avrebbe sfigurato in "Oh Mercy", "You Can't Fail Me Now", insieme al commovente, rallentato simil-ragtime di "I Will Write A Book". Infine, quella che è forse la migliore del lotto, "Shut Me Up", altra perla che non sfigurerebbe nel repertorio del miglior Zimmerman moderno. Una mano non da poco alla realizzazione delle sue tranche de vie la danno dei musicisti di primissimo livello quali Bill Frisell, Greg Leisz, Patrick Warren ed anche, in paio di episodi, del folle saggio Van Dyke Parks al piano.
Joe Henry, in definitiva, si conferma uno dei migliori cantautori attuali, non solo americani. E se i suoi dischi non li vedrete menzionati nelle classifiche annuali dei giornali musicali più alla moda, non c'è da preoccuparsi. E' un segno dei tempi. Di certo tanti nomi lì presenti tra qualche anno (tra qualche mese?) faremo fatica a ricordarli; le virtù "civili" di Joe rimarranno, eccome.
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